La Nazionale ad Auschwitz e a Birkenau. Una visita che ha commosso gli azzurri, come recitano i titoli dei giornali. Idea che è sicuramente partita dal c.t. Cesare Prandelli, che aveva già portato gli azzurri in Calabria ad allenarsi in un campo sorto su un terreno confiscato a una cosca del posto, e ora gestito dall'associazione Libera, di Don Ciotti. Ben vengano questo tipo di iniziative, se sono sincere e sentite. Meno se servono solo per l'immagine, ma Prandelli non mi sembra il tipo.
Ecco, lui no. Ma altri si, a dire il vero.
Ma non voglio perdermi in chiacchiere tornando ancora una volta alla questione dirigenti della federazione. No, ancora?! No, no, oggi vogliamo proprio essere originali. La cosa che mi interessa affrontare è invece legata proprio al valore che può avere la visita di oggi. Spieghiamoci bene. Il calcio italiano è sempre stato, anche prima dello sdoganamento degli ex missini nella politica e nelle istituzioni, l'unico luogo dove manifestarsi fascista aveva un suo perché. Basta pensare alla Lazio di Maestrelli. Ed erano gli anni settanta. Di Chinaglia abbiamo parlato a suo tempo e non ci spenderei altre parole. Per saltare ad anni più recenti ecco Paolo Di Canio, tanto per fare un altro nome. In mezzo tra i due un'altra mente illuminata, quella di Stefano Tacconi. Questi i casi più eclatanti. Il resto è storia di oggi. Da Abbiati ad Aquilani, passando per il nazionale De Rossi, hanno smaccate simpatie di destra. Gente che colleziona busti di Mussolini e non lo nasconde. Poi magari non ha mai letto un libro, ma questo è un altro discorso. Cose risapute, non scopriamo nulla. Come sempre, verrebbe da dire. Quasi come il fatto che sia stato qualcuno a commissionare a Tavaroli di seguire e intercettare personaggi come De Santis. Ma questa è proprio un'altra storia e non c'entra proprio nulla, anche se il paragone ci sta eccome. Nulla di nuovo sotto il Sole, verrebbe da dire.
E quindi? Come la mettiamo con le lacrime e la commozione di oggi? E' autentica? E' vera? Io lo spero proprio, ma da qui a crederci..
Altra osservazione. Come la mettiamo per Ultras Italia? Da quando a cavallo degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta le curve più importanti sono state di fatto occupate dai gruppi di destra che cercavano qui uno spazio di azione, certa simbologia, un certo linguaggio, e soprattutto certi comportamenti sono diventati una consuetudine. Un caso clamoroso fu quello della Curva Sud di Roma, a seguito di una frattura intercorsa nel gruppo già in crisi e logorato da anni di gestione della curva, causata, guarda caso, da un laziale. Manfredonia, che accasandosi alla Roma mise fine alla storia dei C.U.C.S. lasciando campo libero ai soggetti a cui ci riferiamo. Sto sintetizzando, si intende, ma a spanne la storia è andata così. In altre città è stata meno clamoroso il passaggio, ma tant'è. Comunque, oggi che quel piano, che aveva pure un nome, “una curva come patria” (tutto minuscolo..) non è andato come speravano, resta soprattutto il palcoscenico della Nazionale per darsi visibilità. E sappiamo bene com'è andata in certe occasioni, come la partita contro la Romania dell'inverno scorso. Spettacoli indecorosi. Insulti a tutti. Da parte di tutti. Ultras e rumeni e italiani. Uno spettacolo indegno su cui non ho neppure voglia di tornare. Vista la concentrazione di gruppi di estrema destra tra Ucraina e Polonia, mi aspetto sorprese. Non belle, ovviamente. Anche questa sarà una situazione da monitorare. Tra negazionisti e commemorazioni di un genocidio, cominciano i campionati d'Europa. Forse sto esagerando ma se un giocatore si dice simpatizzante di gruppi di estrema destra, come può aderire a certi ideali e poi commuoversi in occasioni come quella della visita ad Auschwitz? Non è un controsenso?
Mi piacerebbe, ma questo mi rendo conto è chiedere tanto, potermi guardare la nazionale non provando imbarazzo nel vedere tanti neri in curva, ma la gioia di vederci un nero italiano. E quindi non mi resta che dire, vai Mario. Balotelli, si intende.