Intervista a Mario Lambiase, presidente della Lokomotiv Flegrea. Come ci è stato sottolineato, la presidenza è solo un fatto burocratico, ma le decisioni, tutte, vengono prese da una partecipata assemblea, tutti insieme, in cui il voto del presidente ha lo stesso valore di quello dell'ultimo (o primo, in realtà) dei tifosi. La Lokomotiv ha disputato lo scorso anno il campionato di terza categoria in campania, e quest’anno si appresta ad affrontare la nuova stagione con un’importante novità, la scuola calcio popolare per bambini e ragazzi, gli allenamenti si terranno a Bagnoli.
Quando nasce la Lokomtiv Flegrea? Chi sono i soggetti che hanno dato vita a questa realtà? Quali sono i suoi obiettivi?
La Lokomotiv nasce la scorsa estate, dall’iniziativa di un gruppo di giovani che vive, lavora, frequenta l’area flegrea e la periferia occidentale della città (da bagnoli fino a pianura, passando per fuorigrotta, cavalleggeri, soccavo, rione traiano). Ci sono ragazzi che fanno parte di collettivi, coordinamenti e associazioni del quartiere, ma che tra loro hanno identità molto diverse. Quello che ci accomuna è semplicemente la volontà di fare qualcosa di utile per il quartiere.
L’obiettivo principale è la diffusione di una idea diversa di sport, provare a far passare un discorso diverso dal calcio mainstream, quello dei miliardi, degli scandali, delle scommesse, della speculazione. Le basi del nostro progetto infatti sono l’accessibilità allo sport per tutti (ed è per questo che quest’anno abbiamo anche lanciato la prima scuola calcio popolare d’italia, con un contributo simbolico per le famiglie, tale da permettere a tutti di mandare il figlio a giocare a pallone senza svenarsi), il rispetto per il compagno e l’avversario, l’antifascismo, la lotta a qualsiasi forma di razzismo e discriminazione, in campo e fuori.
Perché è stato scelto questo nome?
Ci piaceva l’idea del treno, del movimento, del viaggio. Di una locomotiva che simboleggiasse un progetto in divenire, in continua crescita (oltre alla scuola calcio quest’anno abbiamo anche lanciato una squadra di basket!). Poi quello del treno è un simbolo che ci sembrava coerente col nostro voler essere “popolari”, e in un certo senso anche con l’identità operaia del quartiere, estremamente legato alla produzione delle acciaierie, almeno nell’ultimo secolo.
In riferimento all’area geografica e sociale di riferimento, l’area flegrea appunto, quali sono i maggiori problemi della zona dal punto di vista sociale ed ambientale?
L’area flegrea sconta, come tutte le periferie cittadine, ma in fondo del mondo, un isolamento economico e una disgregazione sociale paurosa. In particolar modo, per quanto riguarda Bagnoli, da trent’anni ormai il quartiere è in una impasse e in una immobilità dovuta alla dismissione delle acciaierie dell’Italsider. Una delle fabbriche più grandi d’europa, che ha portato lavoro e sviluppo, ma anche degli incalcolabili danni ambientali che rendono il quartiere, i suoi terreni, le sue spiaggie, il suo mare, una delle zone più inquinate del paese. Le istituzioni si sono rivelate incapaci di fronteggiare il problema. Tutte le società pubbliche che si sono susseguite negli anni non hanno svolto le operazioni di bonifica per le quali invece sono state spese centinaia di miliardi. Ma senza una bonifica reale è impossibile rilanciare il quartiere, un rilancio che ovviamente noi intendiamo diverso da quello che hanno in mente le istituzioni, la politica, gli imprenditori e gli speculatori: a base di cemento, grandi alberghi, porti per turisti miliardari, e nulla per gli abitanti del quartiere.
Quali sono le attività e le iniziative portate avanti dalla Lokomotiv Flegrea per affrontare i problemi della zona di riferimento in cui è nata?
Non abbiamo chissà quali pretese, ma in un certo senso è vero che cerchiamo di fare politica attraverso il pallone, politica intesa nel senso più alto del termine. La squadra, le nostre attività, la scuola calcio, sono un modo per parlare al quartiere, per avvicinare la gente alle battaglie che facciamo, fargli capire cosa veramente intendiamo per un territorio pulito, solidale, in cui ci si parla, ci si conosce, ci si confronta. Un territorio in cui certi diritti (da quello allo sport, a quello per un ambiente sano e non inquinato, fino a quello per il lavoro) siano di tutti, e sia giusto rivendicarli a partire non da slogan e proclami, ma da quello che si fa. Il senso è: se noi riusciamo, trenta ragazzi, a portare avanti una cosa del genere, a far fare sport a dei ragazzini a una cifra accessibile a tutti, a mostrare che le cose possono esistere diversamente da come tutto ciò che ci è intorno cerca di imporci, perché non possono farlo anche altri? Perché non possono farlo tutti? Le nostre battaglie le facciamo attraverso i fatti. È un esempio che noi proviamo a dare, sperando di gettare un seme dopo l’altro, che qualcuno un giorno coglierà.