Sono cresciuto tra la curva dello stadio e il centro sociale occupato di Cosenza. Non amo varcare spesso la catena del Pollino che delimita a nord il territorio calabrese. Preferisco scendere a sud. Da tempo quindi non vedevo da vicino gli spazi autogestiti delle altre città. Nell’ultimo anno però m’è capitato di andare in giro per i luoghi liberati del Paese chiamato Italia. Compagne e compagni di differenti aree geografiche e politiche mi hanno invitato a presentare un mio romanzo. E sono rimasto piacevolmente sorpreso. C’è una differenza notevole tra i centri sociali del presente e quelli degli anni novanta: oggi sono radicatissimi nei quartieri, promuovono attività che coinvolgono persone di differenti età e provenienza, rappresentano concreti punti di riferimento per gli abitanti delle periferie, e non solo. In una battuta: sono concreti! Ambulatori di quartiere, sportelli di ascolto, doposcuola e corsi per imparare diverse arti trovano spazio e sostanza umana al loro interno.


Iniziamo subito con una domanda diretta: come possono oggi sopravvivere le polisportive come la nostra e le tante realtà sportive che nascono dal basso per praticare uno sport che vada nella direzione contraria rispetto a quella ordinaria, in cui è diventato il motore immobile di business, di competizione sfrenata, del perseguimento a tutti i costi del risultato a scapito dei valori originari che dovrebbero sottintenderlo? Cioè, come possono queste esperienze crescere e promuovere attività qualitativamente competitive e permettere a tutti il proprio accesso, avendo a disposizione scarse risorse economiche e soprattutto, non avendo a disposizione le strutture in cui svolgerle? Non è retorica chiedersi tutto questo, soprattutto in un momento in cui diminuiscono le garanzie sociali per una crescente fetta della nostra popolazione e in cui difficilmente si riesce a chiudere contratti di sponsorizzazione per una squadra di terza categoria, per esempio, come la nostra, che porta avanti le battaglie politiche contro le discriminazioni e un calcio pulito, fuori dalle logiche del mercato. Su questo vogliamo seriamente esprimerci e fare esprimere molti altri perché la nostra polisportiva si trova in seria difficoltà a causa degli alti costi di gestione di cui ogni anno ci facciamo carico per mantenere la squadra di calcio a 11 che milita in terza categoria e la giovane scuola calcio “Ancona Respect”, che sta lavorando attraverso lo sport con bambini di differenti nazionalità a costi irrisori, perché tutti possano permettersela.







