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Non è solo il calcio, o meglio è il calcio. Accostare la morte di Ciro Esposito con l'ennesimo fallimento della spedizione azzurra alla Coppa del Mondo può sembrare un azzardo, una mancanza di sensibilità e tatto. Invece quello a cui abbiamo assistito dal 3 Maggio a oggi non è altro che la sintesi chiara delle condizioni in cui è messo il calcio italiano. Stadi vuoti e fatiscenti frutto di speculazioni e ruberie (Italia ’90…), militarizzazione e leggi repressive ai danni dei pochi che allo stadio vorrebbero ancora andare, un campionato di basso livello che solitamente a Gennaio è già finito. Le scommesse e le partite combinate. E i morti, come Ciro Esposito appunto. Il calcio, chi lo governa, non ha mai saputo da solo creare un sistema di autodifesa da qualsiasi negativo agente esterno. E’ autoreferenziale e chiuso in se stesso. Razzista, lo dimostra ogni giorno di più, sessista e precluso alle voci fuori dal coro. Si difende come un circolo chiuso, una proprietà privata. Ma è anche inutile aprire qui l’elenco delle nefandezze e degli errori compiuti in questi anni arrancando coi decreti di emergenza miranti a tamponare falle incolmabili. Orrori.
Per rispetto a Ciro e all'intelligenza di tutti non torniamo sul fatto che un nazista va in giro armato dopo essersi creato proprio grazie al calcio una "nuova" identità. Un pò come i gerarchi dei regimi latino americani che si riciclano nelle federazioni sportive. La voglia di un calcio includente, che non si domanda da dove e di che genere sia chi lo pratica, un calcio che ogni domenica è realtà nei campi di Lecce e Firenze, Roma ed Ancona, Padova e Vicenza, Bologna e Napoli, Genova, Taranto e un sacco di altre città è più che una realtà. Il proliferare di polisportive popolari e squadre è la risposta a uno sport che non ha più un futuro se non questo e che si trincera in fortezze militarizzate dove perfino il racconto di ciò che accade è omertoso. Dove si cerca di mostrare ciò che non è, con la faccia tosta di chi sa che tanto va bene così. Media collusi con un sistema che si auto alimenta, si commenta e si processa da solo. Ma al lunedì soltanto, s’intende.
Il calcio che vogliamo noi è di parte. Partigiano anzi. Perché resiste e contrattacca, rilancia e propone alternative possibili, vere, che sono destinate a crescere e proliferare. Questo è lo sport vero, altro che…Se pensiamo poi che gli sport olimpici sono in mano alle forze armate, che il CONI è un baraccone e che lo sport italiano è legato alla stessa gente da sempre rimane una sola strada percorribile: que se vayan todos.
E capiamoci, è la morte di Ciro che inesorabilmente indica di che malattia è vittima il Dio pallone, non l’uscita da un mondiale.