di Davide Drago
Sono diminuite le aggressioni, gli insulti, le minacce e la violenza nel mondo del calcio? Stando ai numeri presentati dall'Associazione Italiana Calciatori (AIC) le azioni violente registrate l'anno scorso sono state centoquattordici, il 2,5% in meno rispetto alla stagione 2015/16. In questi numeri non sono però considerate le azioni svolte, dentro e fuori gli stadi, da gruppi ultras e forze dell'ordine.
Il dato che immediatamente salta all'occhio è che il 5% del totale delle “azioni violente” avviene nel mondo del calcio giovanile, ma c'è un elemento ancora più allarmante: il 36% degli episodi possono essere inseriti all'interno della categoria “atti razzisti”. Dall'agosto del 2013 il codice di giustizia sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) è cambiato: si prevedono squalifiche da un minimo di dieci giornate, fino a uno stop a tempo indeterminato, in caso di comportamenti razzisti. Nonostante l'inasprimento delle pene, negli ultimi cinque anni i casi di razzismo nel mondo del calcio non sono diminuiti e il fatto ancora più grave è che sono aumentati tra i ragazzini.
Tra gli adulti sono ormai tantissime le squadre miste o composte soltanto da migranti che solcano i campi da gioco di campionati amatoriali o federali, ma nonostante questo non mancano i casi di razzismo. Emblematici sono stati gli ultimi due casi, saliti agli onori della cronaca negli ultimi mesi, di due squadre “simbolo” composte da migranti: la squadra del Cara di Mineo in Sicilia e del Pegolotte in Veneto. I dirigenti di quest'ultima squadra sono stati deferiti dalla procura federale della Figc, con pene che vanno dai quarantacinque giorni ai sette mesi, per aver vietato lo scorso anno l'accesso all'impianto sportivo di Pegolotte di Cona ai migranti della base di Conetta, nel Veneziano, su richiesta dei genitori di ragazzi che lo frequentavano. I dirigenti hanno tenuto un comportamento discriminatorio nei confronti di alcuni calciatori extracomunitari tesserati, tra l'altro, nella loro stessa società. In Sicilia la squadra del Cara di Mineo, nonostante continui a raggiungere ottimi risultati sportivi, non riesce ad essere “accettata” pienamente dai giocatori e tifosi avversari. «Ancora una volta abbiamo preso insulti e provocazioni, frasi irripetibili - racconta al giornale MeridioNews un dirigente della squadra-. Dispiace dirlo, ma i miei ragazzi ormai ci sono abituati, sanno che non devono reagire, anche se è normale che ci restino male. Non capiscono perché vengono accolti in questo modo».
A storie di discriminazione si contrappongono, fortunatamente, racconti di integrazione, di vittorie, come quella dei Survivor, compagine calcistica piemontese di Pasta di Orbassano, formata interamente da richiedenti asilo, la quale ha vinto il campionato regionale UISP e che adesso cerca finanziamenti per poter partecipare ai campionati nazionali per riuscire a portare anche alle fasi finali nazionali un messaggio di accoglienza ed integrazione.
Anche nelle sezioni giovanili ci sono molte squadre interamente o parzialmente composte da giovani immigrati o da ragazzi di seconda generazione e, come scritto in precedenza, anche in quei contesti le azioni razziste sono sempre più in aumento. È proprio dalle fasce minori che sarebbe più opportuno partire, per educare chiunque fin dalla tenera età al rispetto delle diversità e all'accoglienza.
Qualche giorno fa a Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo, è avvenuto un nuovo caso di razzismo all'interno del rettangolo di gioco, ma stavolta il finale è stato diverso. Il paesino si trova a dieci km da un luogo simbolo per una compagine politica che non nasconde il suo essere razzista: il luogo è Pontida e la forza politica è la Lega.
Il primo maggio sul campo del Ponte San Pietro si svolgeva una partita valida per un campionato giovanile, partita vinta per sei a quattro dal Pontisola con un gran gol segnato da Marco, lo chiameremo cosi, un ragazzo nato in Italia da genitori del Burkina Faso. A fine partita un giocatore del Rozzano si avvicina per stringere la mano a Marco, ma lui si rifiuta. L'allenatore napolentano, Igor Trocchia, interviene subito per riprendere quel gesto di scarso fair play, pensando fosse dovuto a nervosismo o a qualche reazione sbagliata. I giocatori di mister Trocchia hanno però spiegato al mister cosa era successo in campo e ripetuto l'insulto che il loro compagno aveva ricevuto. L'allenatore a quel punto ha deciso di ritirare la squadra dal campionato, nonostante il Pontisola fosse saldamente in testa alla classifica.
Il mister ai giornali locali ha dichiarato di essere stanco di dover assistere ogni partita a comportamenti di questo tipo ed ha per questo motivo optato per una scelta drastica che servisse da “insegnamento” per tutti i ragazzi.
Sarà un caso o un segno del destino che questo fatto sia accaduto a dieci km da Pontida, che a prendere la scelta di ritirare la squadra sia stato un allenatore di origini napoletane.
L'anno scorso, proprio a Pontida, si è svolto un festival dell'orgoglio terrone e migrante. Il festival era nato in risposta alle provocazioni di Salvini, e in quella giornata la risposta è stata chiara e netta: tantissime persone hanno calpestato un prato che negli anni è stato palcoscenico soltanto di frasi d'odio e razziste nei confronti di meridionali e stranieri, e nonostante il trasformismo della Lega, Pontida continua a mantenere quel ruolo narrativo razzista e discriminatorio. Con la musica, e soprattutto con il calcio, abbiamo lanciato dei messaggi totalmente diversi: eravamo in tantissimi, con squadre provenienti da tutta Italia, a gridare con tutta la nostra forza che chi ama lo sport odia il razzismo e che tutti hanno il diritto di poter giocare a prescindere dai luoghi di nascita o dal colore della pelle.
Continueremo, forti anche delle scelte fatte da un mister di una piccola squadra di ragazzini, a scandire forti i nostri messaggi antirazzisti e antifascisti, che sia a Pontida o in qualunque altro luogo, lo sport continuerà ad essere volano per il cambiamento.