Frimpong è un calciatore Ghanese che milita nell'Ufa, squadra del campionato russo. Fin qua non
c'è niente da stupirsi o rimanere perplessi.
Il ragazzo, ex giocatore dell'Arsenal, si è ritrovato, suo
malgrado, protagonista nell'ultima partita della sua squadra contro lo Spartak Mosca. Essendo nero,
il problema sono stati i cori razzisti che gli hanno rivolto i tifosi avversari. Anche questo, purtroppo,
farà pensare a molti che non sia nulla di nuovo e grave. Anche il fatto che nella Gazzetta dello sport
on-line (maggiore quotidiano sportivo italiano), la notizia latiti, non stupisce, è tempo di
calciomercato, wags in bikini e prime grandi giocate dei calciatori nuovi arrivati, chiaro che
Frimpong e la sua reazione volgarissima, passino in secondo piano. Ecco allora ciò che stupisce e fa
male, che lo stesso Frimpong, invece di indignarsi perché l'arbitro, i colleghi e nessuno dei presenti
faccia niente per quei cori, lasciando il campo dopo l'espulsione in seguito al suo gesto di stizza a
chi gli gridava scimmia, nel dopopartita chieda scusa. So che è il suo lavoro e che altrimenti il
rischio di metterci troppo la faccia lo possa portare a essere accantonato, ma se chi è vittima di un
atto razzista chiede scusa per una reazione, sarebbe come se una donna che subisce un tentativo di
violenza perché in minigonna, chiedesse scusa per aver preso a borsate il violentatore. Mi pare che
agendo così, si possa fraintendere la verità, ossia che le due cose sono di gravità estremamente
differente. Il rischio è che quelle scuse si leggano così: "l'insulto razzista ci sta, perché insomma io
sono negro" oppure: "che tentino di violentarmi perché giro in minigonna un po' ci sta, perché sono
una tentatrice".
A rompere questo meccanismo, forse potrebbero essere solo i grandi campioni, quelli a cui la
società non rinuncerebbe mai, loro devono metterci la faccia, bloccare le partite e, allora, forse, il
razzismo emergerebbe in tutta la sua problematica. Non ci si giustificherebbe più con la storia delle
mele marce, che fanno parte di un carrozzone che deve andare avanti a sempre e comunque.