Si accendono le manifestazioni di razzismo in Australia, e c’entra lo sport di mezzo questa volta. Lo scorso 29 maggio si è giocata il rituale “Indigenous Round”: si tratta di un turno del campionato della Australian Football Association, la lega professionistica del football australiano, sport nazionale e maggiormente praticato nella terra dei canguri.

Durante la partita tra Cartlon e Sidney Swans, giocata a Melbourne, in casa del Cartlon, il giocatore di origini aborigine Adams Goodes a seguito della realizzazione di un goal per la sua squadra, ha festeggiando avvicinandosi alla tifoseria avversaria e mimando una danza tipica delle tribù aborigene. Un gesto legato, come sopra scritto, all’occasione di un match giocato durante l’Indigenous Round, che si celebra ogni stagione per ricordare il contributo degli aborigeni alla AFL. Il calcio australiano e la cultura degli indigeni si intrecciano nelle radici storiche dell’Australia: il football, (un incrocio tra rugby e calcio), sembra risenti molto nelle sue regole di una certa attività sportiva antica praticata dagli aborigeni, il “Marn Grook” – “Gioco della palla”. La reazione scomposta del pubblico allo stadio si è definitivamente trasformata in razzismo conclamato nei giorni successivi alla partita, in tutto il paese. La pagina Wikipedia di Adam Goodes il giorno dopo il match dell’Indigenous Round è stata ricoperta da intersezioni e ricostruzioni xenofobe, ma quello che più ha suscitato clamore è stato il “booing”, il boo a sfondo razzista, che dal match del 29 maggio in poi ha fatto da sottofondo ad ogni tocco di palla di Adam Goodes durante le partite di football seguenti. Un fenomeno che ha assunto molta importanza in Australia, discusso molto dai maggiori media australiani e diventando trend topic sui social network. In realtà la questione del razzismo oggi è un tema molto attuale, perché sui sentimenti più oscuri e retrivi della nazione, che dalla sua formazione ha sempre dovuto fare i conti con questi fenomeni, è soprattutto la politica del primo ministro australiano Tony Abott a soffiare, con gli attacchi e le limitazioni di diritti alle comunità aborigene e le politiche anti – immigrazione. Proprio su Sportallarovescia si parlava di questi temi qualche tempo fa nell’articolo “Sport e proteste in Australia” http://www.sportallarovescia.it/sar5/810-sport-e-proteste-in-australia .

Di Adam Goodes si ricorda il suo coinvolgimento nell’episodio avvenuto nel 2013. Durante un match tra Collingwood e Sydney Swans, Goodes per tutta la partita si sente chiamare «scimmione». Stanco degli insulti decide di puntare il dito platealmente contro il colpevole: una ragazzina di 13 anni, scortata in seguito dagli steward, interrogata e poi rilasciata. Il caso ricorda quello di Nicky Winmar, tra i pochi aborigeni a militarenegli anni novanta nella lega di football professionista. Nel 1993 gioca in maniera formidabile un match con con la sua squadra, il St Kilda, per vincere l’incontro contro il Collingwood , nonostante per tutta la partita sia bersagliato dal pubblico con epiteti razzisti. Così al termine dell’incontro si rivolge ai tifosi della squadra avversaria alzando la maglia con una mano e puntando l’altra al petto. La dichiarazione è chiara: "Sono nero ed orgoglioso di esserlo". Ma il caso più eclatante di orgoglio aborigeno, assimilabile come gesto simbolico al pugno alzato di Thommie Smith e Juan Carlos nelle olimpiadi di Messico 1968, è quello di Cathy Freeman. il 25 settembre 2000, durante le olimpiadi australiane vince la medaglia d'oro sui 400 metri piani, il centesimo oro olimpico per l'Australia. È stata la prima medaglia olimpica vinta da un aborigeno. Nonostante il divieto ufficiale d'uso di bandiere non-statali ai Giochi olimpici, sventolò insieme la bandiera australiana e quella delle "prime nazioni" aborigene dopo la sua vittoria, in uno stadio olimpico gremito da tifosi australiani.