Santos-Vila Belmiro
“Un ragazzo così? Alla sua età credo che possa già guadagnare qualcosa come, ragionando in Euro, cinquemila?!?”
Cinquemila euro a un ragazzino di undici anni? Ma al mese?
“Certo – risponde Gustavo Neri- al mese. Ma è normale in Brasile.”
Mi trovo nella “Fàbrica de craques”, come si dice qui. La fabbrica dei campioni. E' proprio nella pancia dello stadio Vila Belmiro che si svolgono gli allenamenti delle squadre dei ragazzi. Campi in sintetico all'interno della tribuna opposta a quella che ospita il museo del club. Sì, perché in Brasile, oltre a quello nazionale di Sao Paulo, ogni club, e di qualcuno ne abbiamo raccontato
La Fluminense, ne ha uno. Ci occuperemo anche di questo.
E' una chiacchierata amichevole quella con Gustavo Nery, ex giocatore del Santos e di un bel po' di squadre latino americane. Passato poi al futsal, ha giocato diverse stagioni in Italia. A Catania soprattutto.
“Ho un bellissimo ricordo dell'Italia, ma poi la crisi ha cominciato a farsi sentire nel nostro ambiente. Vedi, in Italia e in Europa non vivi di calcio a meno che non sei un giocatore affermato. Ti spiego. Io come tanti sono cresciuto qui, al Santos. Ho giocato una stagione in prima squadra e poi ho cominciato a girare. Col futsal si viveva fino a poco tempo fa. Si guadagnava di più all'estero. Ora che ho smesso di giocare sto prendendo il patentino per allenare i ragazzini, proprio come stai vedendo oggi, per lavorare qui, perché c'è lavoro nel calcio.”
Ma non si può guadagnare tanto ad allenare le giovanili. E comunque, mica tutti possono farlo per grandi club.
“In Brasile il calcio è una passione che non ha eguali. Tutti lo praticano e tutti se ne interessano. Esportiamo calciatori in ogni angolo del mondo, da sempre. Dal 2001, più o meno, qualcosa è cambiato. Si è deciso di investire qui, di fare noi quello che prima venivano a fare qui da fuori. Abbiamo strutture perfette per i ragazzi. Immerse nella realtà non solo del club ma del territorio”.
Ma non destabilizza un ragazzino essere pagato così tanto in un Paese dove la povertà è ancora un grosso problema. Non si rischia di farlo crescere in una dimensione che non è quella reale?
“Vedi, prima (...) quando hai detto che il ragazzino coi capelli a caschetto è davvero forte, non sapevi che è uno di quelli su cui il Santos punta per il futuro. Ce ne sono trenta qui, ma lui spicca su tutti. Come chiunque può vedere ha capacità fuori dal comune. Diversi club italiani lo conoscono. Anche se ha solo undici anni. Il Madrid ha tentato di portare via lui e la sua famiglia ma il Santos non ha bisogno di vendere subito. Fa crescere i suoi campioni, li fa diventare giocatori, vince e poi quando ha i ricambi giusti e pronti, vende. E vende bene”.
E li paga al mese quello che un operaio che lavora giorno e notte al Maracanà per finirlo in tempi utili per i Mondiali non porta a casa in un anno. Lasciando perdere le condizioni di lavoro e i livelli di sicurezza. Ma non vorrei cadere in facile retorica.
“E' così. Non posso certo negarlo. I genitori di questi ragazzi lasciano il lavoro e si occupano solo dei loro figli. E quindi quei soldi servono alla famiglia per vivere più che dignitosamente e non avere la tentazione di piazzare il figlio alla prima società che arriva“.
Mi rimane un dubbio. Ma se poi uno crescendo non diventa calciatore?
“Chi passa da qui o da società come questa, difficilmente non lavorerà in questo ambiente. Quante persone lavorano per ogni club? Pensa solo il personale dei vari musei che hai visitato. E i tecnici? Quanti ce ne sono per ogni squadra? Per non parlare di fisioterapisti, magazzinieri. E poi nei nostri stadi ci sono ristoranti, punti di ristoro, negozi. Il calcio da tanto lavoro, è un rischio che si può correre”.
E' un Paese che sta crescendo il Brasile. Dove la disoccupazione è scesa più del 10% solo in quest'ultimo anno, e dove si guadagna e si spende di più di qualche anno fa. E il calcio da un sacco di lavoro a tanta gente, qui in Brasile.