Non tutte le federazioni sportive italiane prevedono la categoria del professionismo, ma anche quelle che la prevedono escludono alle atlete donne la possibilità di accedervi. La colpa è della legge 23 Marzo 1981 che regola l'accesso alla pratica sportiva e prevede che solo gli atleti uomini possano essere professionisti.
Il problema non è solo terminologico. Essere dilettanti per legge significa non poter firmare regolari contratti con le società, non poter usufruire dell'assistenza previdenziale e sanitaria, non poter ricevere adeguati compensi per la propria attività, anche quando questa attività prevede allenamenti giornalieri.
Federica Pellegrini, Flavia Pennetta, Tania Cagnotto, nonostante una collezione di riconoscimenti da far invidia a mezzo mondo, per lo stato italiano praticano sport solo per diletto. Paradossalmente uno dei pochi modi che hanno le atlete italiane per tutelare la propria attività è entrare a far parte delle forze dell'ordine. Per questo motivo lo sport nostrano è uno degli sport più militarizzati del pianeta. Bel paradosso, che durerà fino a che lo stato non modificherà la legge 91/81 e fino a che il Coni non regolerà la distinzione fra dilettantismo e professionismo, in senso anti-discriminatorio!
Lavinia Santucci, cestista azzurra classe '85, Nazionale Italiana, ha raccontato durante il Meeting Nazionale dello Sport Femminile: "Noi viviamo una vita sportiva identica a quella degli atleti maschi, ma i nostri contratti sono solo degli accordi privati, che non ci tutelano da nessun punto di vista. Questo deve cambiare, perché non è una battaglia solo femminile: i diritti sono di tutti, e tutti devono impegnarsi per farli rispettare."
Basta discriminazioni di genere nel mondo dello sport! L'otto Marzo noi scioperiamo!