Dopo i gol segnati da Mario Balotelli agli Europei, in molti avevamo sperato (ma con molta diffidenza) che qualcosa potesse cambiare in materia di concessione della cittadinanza ai figli dei migranti.

La speranza era che lo sport potesse tornare ad assumere un ruolo di stimolo per la società. Qualche segnale positivo era anche giunto. In un’intervista a La Gazzetta dello Sport del 5 luglio, Lello Pagnozzi, segretario generale del CONI, nel proporre la propria candidatura per la presidenza del CONI aveva dichiarato: “c’è un’altra crisi che incombe, quella della natalità: è stato stimato che tra una quindicina di anni i cittadini europei tra 0 e 24 anni rappresenteranno meno del 5% dei pari età del mondo. Deve cambiare tutto, a cominciare dalla legge italiana. Dobbiamo imitare la Germania, dove ci vuol poco per diventare cittadini tedeschi mentre le trafile per la cittadinanza in Italia sono infinite”. Anche se per motivi demografici e non culturali e politici, la posizione di Pagnozzi appare comunque positiva (e sarebbe interessante verificarla qualora dovesse essere eletto). In precedenza, in ambito sportivo, i difensori di un cambiamento normativo erano stati quelli della federazione del badminton. Poca cosa rispetto alla chiusura ermetica che continua a mostrare la federcalcio. Ma pur sempre un segnale di rottura. Anche il presidente della Federazione di atletica leggera, Franco Arese, aveva parlato di “opportunità che ci porta l’immigrazione” (7 dicembre 2011), anche se poi alcune norme della stessa Fidal erano andate in tutt’altra direzione.

 

A spegnere qualsiasi speranza, è stato di recente il ministro dello Sport, Piero Gnudi, che in un’intervista su La Gazzetta del 26 luglio, a Ruggiero Palombo che gli chiedeva “Che fine ha fatto la cosiddetta legge Balotelli?” ha risposto: “La finalità era ed è quella di offrire la cittadinanza italiana a quei giovanissimi stranieri che si vanno distinguendo in campo sportivo. Soltanto ai più meritevoli. Questo ha creato qualche intoppo e la legge si è impantanata. Ora Camera e Senato hanno altri pensieri e priorità. La riprenderemo in mano il prossimo anno”. Non si sa bene quali siano stati gli intoppi (ma li possiamo immaginare). Di certo i gol di Balotelli sono già diventati un lontano e sbiadito ricordo.

Ma che si tratti anche di un problema culturale lo ha dimostrato un episodio che ha coinvolto il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, che si è sempre dichiarato uno strenuo sostenitore della modifica della legge sulla cittadinanza. Eppure, mentre era in visita a Londra e si accingeva a salutare gli atleti olimpici italiani, alla judoka parmense Edwige Gwend, nata in Camerun nel 1990, ma in Italia da quando aveva nove mesi e già vincitrice per l’Italia di diverse medaglie (nota come la “Balotelli del judo”), ha chiesto: “Lei è italiana?”. Come se non sapesse che un’atleta che indossa la maglia azzurra, non può che essere italiana! Se è bastato il fatto che la judoka avesse la pelle scura per far avanzare un dubbio così fuori luogo al presidente, appare evidente che c’è ancora molto da lavorare.