Sono cresciuto tra la curva dello stadio e il centro sociale occupato di Cosenza. Non amo varcare spesso la catena del Pollino che delimita a nord il territorio calabrese. Preferisco scendere a sud. Da tempo quindi non vedevo da vicino gli spazi autogestiti delle altre città. Nell’ultimo anno però m’è capitato di andare in giro per i luoghi liberati del Paese chiamato Italia. Compagne e compagni di differenti aree geografiche e politiche mi hanno invitato a presentare un mio romanzo. E sono rimasto piacevolmente sorpreso. C’è una differenza notevole tra i centri sociali del presente e quelli degli anni novanta: oggi sono radicatissimi nei quartieri, promuovono attività che coinvolgono persone di differenti età e provenienza, rappresentano concreti punti di riferimento per gli abitanti delle periferie, e non solo. In una battuta: sono concreti! Ambulatori di quartiere, sportelli di ascolto, doposcuola e corsi per imparare diverse arti trovano spazio e sostanza umana al loro interno.
Ma soprattutto, impressiona il fiorire di palestre popolari e polisportive che praticano pugilato, calcio, arti marziali, rugby e infinite altre discipline sportive. È una vera e propria iniezione di nuova linfa. Un po’ dovunque fioriscono società sportive dal basso, somiglianti alla palestra di Boxe Popolare operativa da tanti anni a Cosenza su iniziativa di mister Gianfranco Tallarico e compagni. Sono luoghi in cui la pratica sportiva si unisce alla ferma volontà di garantire dignità e integrazione sociale a quanti la svolgono. Esistono affinità politiche e culturali forti, oltre che naturali e salutari differenze, tra le varie situazioni impegnate nei diversi contesti territoriali. Alcune rappresentano invece la media ideale per tutte le altre, esprimono cioè contenuti e caratteri condivisibili dalla quasi totalità delle situazioni consorelle. La prima che viene in mente è l’Assata Shakur, polisportiva anconetana impegnata da anni a realizzare efficaci iniziative sul fronte dell’antirazzismo in un territorio delicato sul piano degli equilibri sociali e dei flussi migratori. Non a caso, anche in conseguenza del suo potenziale conflittuale, la polisportiva ha subito una massiccia dose di attacchi repressivi. In diverse regioni italiane, tornei e raduni stagionali di tutte queste realtà sociali esistono già, richiamano migliaia di persone, favorendo l’allargamento di un movimento di per sé in costante crescita. Ma se un giorno in questo pezzo di Mediterraneo sarà possibile creare un momento unificante al quale prendano parte tutte, ma proprio tutte, le compagnerie dello sport dal basso, Ancona potrebbe esserne la capitale.
Claudio Dionesalvi