Il convegno si è svolto al centro sociale Bruno sabato 11 febbraio 2017, nell'ambito del progetto "Idee al Bersaglio".
Sabato 11 febbraio si è svolto a Trento, presso il centro sociale Bruno, il convegno "Sport e rigenerazione urbana. Pratiche sportive e spazio urbano nei processi di progettazione condivisa". L'evento è stato organizzato dalla Polisportiva Clandestina che, insieme ad altre realtà di base cittadine, sta partecipando al progetto "Idee al Bersaglio", una riqualificazione "dal basso" di un'area dismessa situata nel quartiere, ex borgo manifatturiero, di Piedicastello.
Il dibattito ha posto in luce quale sia il ruolo dello sport popolare, in particolare rispetto alle pratiche di auto-recupero e rifunzionalizzazione di impianti sportivi dismessi, nella costruzione di un nuovo modo di pensare e progettare la città. «La progettazione della città e del territorio è sempre stata un elemento di forza della governance: è il momento di iniziare ad appropriarcene in maniera organica» ha detto Antonio Pio Lancellotti nell'introduzione. La messa in comune di pratiche e discorsi che diano al concetto di rigenerazione il giusto valore di rottura rispetto ai dispositivi di speculazione e rendita urbana, è emerso da più punti di vista all'interno della discussione.
Gaia Sgaramella, del Laboratorio Sociale Officina Piedicastello, ha spiegato la gestazione del progetto "Idee al Bersaglio" e le modalità attraverso le quali realtà molto di verse tra loro sono entrate in contatto ed hanno iniziato una collaborazione che, si spera, possa andare oltre gli interventi previsti dal progetto. Sport di strada, orti urbani, cinema all'aperto sono alcuni esempi di come si possa fare una progettazione condivisa che ecceda lo spazio in sé e si affermi come modello di interazione sociale nel tessuto dei quartieri e delle città.
Michele Pedrotti, della Polisportiva SanPrecario di Padova, realtà che da oltre dieci anni lavora su temi e pratiche legate allo sport popolare ed antirazzista, ha raccontato l'esperienza di Spazio allo Sport. La campagna, lanciata dalla SanPrecario nella primavera del 2016, ha avuto un primo step in cui si è svolta una mappatura di tutte le strutture sportive dismesse all'interno della Provincia di Padova. Prima fase caratterizzata da una fortissima adesione che ha di fatto costituito un trampolino di lancio per la campagna, consentendole di estendersi anche al di là dei confini della polisportiva.
Il successo, in termini di adesioni e consenso, ha permesso di passare a una seconda fase attiva, di riqualificazione dal basso dei vari spazi caduti in disuso. Questa è cominciata a novembre, quando un nutrito gruppo di volontari è entrato nello spazio comunale "ex bocciodromo" ed "ex green tennis" situato in una zona centrale di Padova proprio per pulire e riconsegnare al quartiere uno spazio abbandonato ormai da due anni.
«Proprio questo è uno degli obiettivi della campagna: la riqualificazione attraverso azione semplici e pratiche di spazi appartenenti di fatto alla comunità giacciono in condizioni di inagibilità o totale abbandono» dice Michele, che trova la causa di tutto questo in una gestione negligente da parte delle istituzioni o degli enti gestori.
La campagna, ed in particolare le iniziative all'ex bocciodromo, ha avuto il grande merito di riportare «in prima pagina» il dibattito sulla gestione degli spazi sportivi; gestione che troppo spesso si rivela superficiale e miope pregiudicando di fatto quell'accesso universale allo sport che dovrebbe essere un diritto fondamentale per tutti.
Passando dalla provincia alla metropoli, a volte i percorsi si assomigliano, anche se calati in contesti completamente diversi. La Liberi Nantes di Roma, nata nel 2007 con l'intento di dare la possibilità a rifugiati e richiedenti asilo di giocare a calcio, in breve tempo è diventata una delle associazioni sportive antirazziste più importanti, del territorio romano e non solo. «Dieci anni fa rifugiati e richiedenti asilo erano i più invisibili tra i migranti» dice Daniela Conti, che ha spiegato l'importanza dare, attraverso il calcio, una possibilità concreta di riscatto «a chi vive costantemente in una condizione di limbo».
La Liberi Nantes partecipa ad un campionato di terza categoria FIGC come fuori classifica, in quanto rifugiati e richiedenti asilo non possono essere tesserati dalla Federazione. Nonostante questa evidente penalità, politica prima che sportiva, la Liberi Nantes ha dato vita ad un progetto di recupero e di riuso di un centro sportivo abbandonato, situato nel quartiere di Pietralata. «A Roma le strutture sportive sono molto costose e spesso le società più piccole non hanno la possibilità di svolgere le loro attività», a maggior ragione quando la composizione di riferimento è legata a soggetti che non hanno alcun diritto. «La struttura ci è stata data in gestione nel 2012 ed era inagibile ed in condizioni disperate». Grazie al lavoro di auto-recupero, adesso il centro è nella sua piena funzionalità.
Uno degli aspetti più significativi della vicenda riguarda le relazioni, non scontate, che si sono costruiti tra gli sportivi della Liberi Nantes e gli abitanti del quartiere, grazie ai quali tanti pregiudizi e sub-culture razziste sono stati demoliti.
L'intervento di Angelo Desole si è concentrato sul ruolo della ricerca storica nelle pratiche di riuso degli spazi abbandonati. Partendo dall'esperienza maturata nei luoghi dell'industria «attraverso quel variegato campo di pratiche e teorie che viene detto archeologia industriale», Desole ha tentato di indicare une metodologia valida per tutte le tipologie di luoghi abbandonati, che metta la conoscenza al centro dei percorsi di recupero. La fotografia ha in questo un compito fondamentale perché veicola contenuti storici che rimandano all'identità dei luoghi e delle persone e che li fruivano prima che diventassero vuoti, perché nel presente, può svolgere un ruolo chiave di veicolo comunicativo all'esterno e perché, infine, si pone come documento e testimonianza di una storia collettiva che vuole essere antidoto alle operazioni di speculazione spicciola che spesso ruotano intorno a questi spazi.
Il giornalista di Tuttosport Andrea Schiavon ha messo in rilievo gli intrecci tra lo sport-business ed i grandi investimenti infrastrutturali che vengono fatti, soprattutto in vista di grandi eventi. Facendo alcuni esempi, sia sul piano globale che italiano, è emerso che il più delle volte gli impianti costruiti ad hoc per le manifestazioni sportive di grande impatto economico e mediatico, vengano in seguito sotto-utilizzati o non utilizzati affatto. Il caso delle Olimpiadi invernali di Atene 2004 e Torino 2006, per rimanere in ambito europeo, sono tra i più clamorosi.
Per questa ragione il tema della fruizione diffusa e continuativa delle strutture sportive è centrale nel momento in cui si parla di diritto alla città. In questo il ruolo dello sport popolare è fondamentale, perché «a volte è più importante una piattaforma di cemento in un quartiere periferico che lo stadio dove si svolge la finale dei Mondiali di calcio». Il lavoro svolto dalle realtà che si occupano di sport di strada è dunque significativo, perché fa emergere in maniera tangibile un modello sociale di accesso allo sport ed alle strutture alternativo, ma allo stesso tempo competitivo, rispetto a quello professato dalle grandi società sportive, commerciali e finanziarie e dai colossi dell'informazione.
Tratto da globalproject.info