Ronaldo Luis Nazario de Lima (Rio de Janerio, 22 settembre 1976)
Se chiedete ad un ragazzo nato a cavallo tra gli anni ’80 e i primi anni ’90 chi è Ronaldo gli si illumineranno gli occhi e risponderà: «il Fenomeno». E si, perché per quella generazione (compreso chi scrive) il vero Ronaldo è lui Luis Nazario de Lima, non CR7.
Il brasiliano è stato un folgore che ha squarciato il cielo del calcio. Il suo repertorio era vastissimo, poiché era in possesso di una tecnica quasi maradonesca con ambo i piedi unita ad una velocità degna di uno sprinter olimpico. Con queste doti Ronnie faceva quello che voleva con il pallone e i difensori tremavano appena ne entrava in possesso.
A mio avviso i suoi marchi di fabbrica sono stati due: una finta, il doppio passo, e un genere di conclusione, il tiro di punta. Il doppio passo (che gli costerà la carriera) era la finta che il Fenomeno amava usare quando puntava in velocità il proprio avversario diretto. Le sue gambe cominciavano a vorticare sul terreno di gioco disegnando svariati cerchi che coprivano il pallone. Quando l’avversario decideva di intervenire, ecco che in un momento Ronnie spostava la palla e si involava verso la porta. L’altro gesto tipico di Ronaldo è, invece, la conclusione più bistrattata fin dalle scuole calcio, perché considerata il tiro degli incapaci: quella con la punta del piede. Il Fenomeno la eleva a gesto tecnico di pregevole fattura, poiché la sa usare con la maestria dei campioni del calcio a 5 (dove questa tipologia di calcio deve assolutamente far parte del bagaglio tecnico di ogni atleta). Il tiro con la punta è, infatti, un colpo mortifero che anticipa di una frazione di secondo il movimento di difensori e portieri avversari cogliendoli controtempo.
Ronaldo era il futuro, come un moderno Prometeo aveva rubato quelle doti uniche agli dei per donarle a noi mortali portando così una nuova concezione di calcio, in contrapposizione al gioco più compassato e fraseggiato. Ma come insegnano le leggende, l’ira degli dei si abbatte sempre su chi osa sfidarli e cercare di superarli. E Ronnie non ha fatto eccezione.
Il nome di Ronaldo viene inserito nei block notes degli esperti nel 1994 quando vince, senza però entrare mai in campo, la Coppa del Mondo. All’epoca aveva solo 18 anni, ma dal paese carioca già affermavano che sarebbe diventato un grandissimo. Su di lui piombano i maggiori club del vecchio continente, a spuntarla è però il Psv Eindhoven. Ronaldo, infatti, ascolta saggiamente i consigli offertigli da Romario che lo invita ad amalgamarsi al calcio europeo in un campionato di tono minore. L’impatto del Fenomeno sul torneo olandese è strabiliante: in 33 partite giocate segna 30 gol. A questi dati bisogna aggiungere che il brasiliano gioca anche una partita di Coppa d’Olanda mettendo a referto 2 reti e scende in campo 2 volte in Coppa Uefa siglando 3 reti. Insomma, la media è praticamente quella di un gol a partita.
I primi problemi di Ronaldo cominciano a notarsi la stagione seguente. Già quando era sbarcato nella paese dei tulipani i medici del Psv avevano notato che le sue ginocchia soffrivano troppo nel sorreggere quella massa muscolare da Hulk e avevano bisogno di periodiche infiltrazioni. Così nel gennaio 1996 si opera al ginocchio destro: apofisite tibiale. Ronnie si riprende per le Olimpiadi di Atlanta ’96 dove il Brasile viene clamorosamente eliminato in semifinale dalla Nigeria futura campione. Alla rassegna olimpica il Fenomeno segna cinque gol; ormai il Psv gli sta troppo stretto e così passa per 20 milioni di dollari al Barcellona.
Neanche in Spagna però ci si può immaginare quello che sta per accadere: nelle prime 10 partite disputate il brasiliano realizza 12 gol. Uno di questi rimarrà per sempre nella storia del calcio. 12 ottobre 1996, in programma c’è Barcellona-Compostela. Al minuto 35 Ronaldo ruba palla ad un avversario sulla linea di metà campo; questi comincia a strattonarlo ripetutamente, ma lui ormai ha puntato la porta, non si può fermare, come uno squalo che ha intravisto la sua preda. Accelera in modo impressionante, va letteralmente al doppio degli altri, e conclude la sua cavalcata infilando in rete. Bobby Robson, il suo allenatore, è anch’egli incredulo di fronte a cotanta tracotanza fisica e tecnica. La frase che più simboleggia tale superiorità la pronuncia il tecnico del Longrones, Miguel Angel Lotina, che quando gli si chiede come fermerebbe il brasiliano sentenzia: «Io un’idea ce l’avrei: sparargli». E sembra veramente quello l’unico modo di stoppare Ronaldo, capace di diventare Pichichi nella sua prima stagione di Liga con 34 centri in 37 match.
Moratti, che già avrebbe potuto prenderlo un anno prima, decide che quello dovrà essere il fiore all’occhiello della sua campagna acquisti e versa nelle casse del club catalano 48 miliardi di lire. Nella sua prima stagione italiana Ronnie regala tocchi di classe e gol straordinari: memorabili restano i suoi gol a Spartak Mosca (su quella che in realtà è più una pista da pattinaggio che un campo da calcio) e Roma. L’Inter finalmente è tornata a lottare per lo scudetto dopo anni di magri risultati. I sogni iridati, però, si infrangono il 26 Aprile 1998 nel famigerato scontro tra lui e Iuliano. A fine stagione, comunque, il brasiliano può aggiungere alla sua bacheca personale il Pallone d’oro e la Coppa Uefa, vinta contro la Lazio grazie anche ad un suo gol nel quale ridicolizza in mondovisione Marchegiani.
Al Mondiale francese di quell’estate è senza ombra di dubbio lui la stella più luminosa. Ronnie, intanto, è divenuto l’uomo simbolo del marchio sportivo Nike che, sul suo volto-icona, costruisce il proprio messaggio pubblicitario. Il Brasile grazie al suo asso ha così potuto firmare con il brand un contratto faraonico di 160 milioni per 10 anni. Lo spot pre rassegna iridata è qualcosa di veramente pittoresco: la nazionale brasiliana, mentre attende di imbarcarsi in aeroporto, comincia a scatenare il panico giocando a pallone tra gate, passeggeri e personale. Ronaldo ne è il capofila e termina questa serie di mirabolanti azioni con un tiro che scherzosamente prende un paletto di sostegno.
Ai mondiali Ronaldo però non è lo stesso ammirato nel biennio 1996-98. Segna 4 gol in 6 partite (media comunque mostruosa), ma sembra che giochi sempre con il freno a mano tirato. I carioca si qualificano lo stesso per la finale, dove ad aspettarli c’è la Francia padrona di casa. La partita è anche la guerra tra i due maggiori sponsor sportivi del pianeta: Nike e Adidas. La prima ha come uomo simbolo Ronaldo, la seconda Zidane. Tutti gli spettatori già si stanno pregustando quella che potrebbe essere la partita dell’anno. I verdeoro sono favoriti, ma durante la vigilia accade un fatto che funesta l’aria di festa e gioia che li accompagnava. Dopo pranzo i brasiliani si ritirano nelle loro stanze come di consueto. Ronaldo e Roberto Carlos, compagni di stanza, si stanno godendo uno degli ultimi momenti di pausa prima dell’ultimo atto. Il difensore sta ascoltando musica a tutto volume sulle sue cuffie quando, voltandosi, nota che il compagno è riverso a terra mentre si percuote violentemente il petto e schiuma come un cane rabbioso. L’allarme è immediato: i più lesti di tutti sono Edmundo e Cesar Sampaio, che riescono con le dita a togliergli la lingua dalla gola e farlo respirare. Qualcuno mormora: «è morto», ma all’arrivo dei terapeuti il Fenomeno si è addentrato in un sonno profondo. I referti medici vengono celati, nessuno riesce a capire cosa ha avuto. Qualcuno parla di stress dovuto al cattivo momento di forma e alla voglia di strafare, qualcuno di errore nel dosaggio delle siringhe, qualcuno di sedativi. Fatto sta che su questo avvenimento si brancola ancora nel buio. Intanto, però, tutti i compagni sono scossi.
Il c.t. Zagallo, nel foglio delle formazioni da consegnare all’arbitro, inizialmente lo manda in panchina, ma poi ci ripensa e lo schiera titolare. I medici, infatti, non avevano riscontrato in Ronaldo problematiche tali da renderlo indisponibile e, incredibile quanto immaginabile, non optano per un periodo di osservazione. Se loro lo danno arruolabile il commissario tecnico non può esimersi da non farlo giocare. Anzi, è costretto a farlo giocare. Anche perché la Nike non può permettersi che il suo calciatore immagine non giochi, se è ritenuto sano, in una finale mondiale. L’accordo stipulato è tale che il Brasile, quella sera, deve avere a tutti i costi come attaccante il Fenomeno. Così Zagallo ci ripensa e opta per la soluzione più stabilizzante. Ronnie, però, si trascina stanco e dolente per tutti i 90 minuti. Non è neanche il lontano parente di quello visto fino allora in Francia, figuriamoci del proiettile ammirato per tutto il resto della stagione.
La scena più penosa deve però ancora essere vissuta. Quando l’aereo che riporta i brasiliani a casa atterra, dalla scaletta scende un fantasma. Un uomo il cui fisico è staccato dalla mente. Ronaldo a soli 22 anni sembra già un vecchio novantenne pieno di acciacchi. L’inizio del calvario è cominciato: Ronnie non sarà mai più quello ammirato fino a maggio del 1998. Le ginocchia lo abbandoneranno di li a poco, ormai esasperate da infiltrazioni e massa muscolare. I problemi con la bilancia cominceranno ad affliggerlo. Con la classe sopraffina riuscirà comunque a supplire a una mobilità ormai limitata: vincerà un Mondiale da capocannoniere ed un altro Pallone d’oro, ma non sarà mai più quel bolide che faceva indemoniare intere difese.
Qualche anno più tardi in Brasile viene aperta un’inchiesta per fare luce su quell’oscura vicenda. Ma il muro di omertà e gli anni passati non hanno permesso la buona riuscita. Zagallo, accusato di non aver pensato alla salute del giocatore, ha risposto in maniera diretta, prendendosi l’onere di dire quello che tutti non volevano accollarsi. Ronaldo era destinato a giocare quella finale; quando i medici diedero il nullaosta le pressioni erano troppo forti perché un singolo uomo potesse decidere di escluderlo. Il c.t. in maniera velata e sopraffina accusa la Nike, che in quelle ore frenetiche pressò perché Ronnie scendesse in campo dal primo minuto. La sua presenza era più importante della sua salute. Il business aveva scavalcato il gioco.
Magari senza Ronaldo il Brasile sarebbe riuscito a vincere, magari il Fenomeno, scoperto cosa abbia davvero avuto, si sarebbe ristabilito. Sono solo congetture; quello che è certo è che in quella pagina nebulosa della storia del calcio abbiamo perso una delle sue stelle più fulgide. Ma d’altro canto, come scritto sopra, dal Prometeo 2.0 non ci poteva aspettare che questa fine. E allora grazie comunque di tutto Luis Nazario de Lima: il vero e unico Ronaldo.