È il sogno di tutti i bambini che inseguono un pallone su uno spelacchiato campetto di provincia oppure per strada. Tutti bramano di arrivare a calcare i terreni da gioco degli stadi più belli del mondo e segnare il gol decisivo, magari all’ultimo minuto, pre poi urlare a squarciagola il proprio tripudio mentre i compagni festanti ti sommergono sotto una coltre di abbracci e buffetti amichevoli.
A maggior ragione se si è nati in uno dei tanti sobborghi poveri del Sud America l’unica via di fuga, l’unico pass per una vita migliore e quello: segnare. A Moacir Bastos, chiamato semplicemente Tuta, però, non è servito.
Tuta nasce a Palmital, comune di circa ventimila abitanti dello stato di San Paolo in Brasile, il 20 giugno 1974. Il giovane Moacir cresce in fretta ed arriva ben presto alla soglia dei centonovanta centimetri di altezza ben coadiuvati da una ottantina di chili. Questo fisico mastodontico gli permette di supplire ad una non eccelsa destrezza futbolistica e gli consente di affinare al meglio la sua peculiarità: il colpo di testa.
Il giovane brasiliano si mette in mostra con la Portuguesa nella stagione 1996/1997quando mette a referto5 gol in 22 partite. Questo score gli permette di passare al più quotato Atletico Paranaense dove Tuta continua a ripetersi impreziosendo i suoi 18 incontri con 6 marcature. A questo punto si prospetta per lui (come per molti altri giovani promettenti brasiliani di quegli anni) il passaggio in un club europeo che gli permetta di fare il grande salto. L’agognata chiamata ben presto arriva: a volerlo è Giuseppe Marotta, direttore generale del Venezia del vulcanico presidente Maurizio Zamparini. I lagunari hanno appena riconquistato la serie A dopo trent’anni di purgatorio e cercano una punta che vada a rimpinguare un reparto offensivo abulico, dove i gol arrivano dal solo Filippo “Pippo” Maniero.
Tuta atterra così in Italia a fine ottobre sconosciuto ai più . Subito per lui si sprecano i paragoni, ma la persona a cui viene accomunato è un attore: quell’Urs Althaus meglio noto come l’Aristoteles del film L’allenatore nel pallone. Il mister Walter Novellino, però, in barba a tutti i ben pensanti lo inserisce subito nella mischia. È l’11 novembre 1998 e in programma c’è il ritorno del terzo turno di Coppa Italia tra Venezia e Juventus. Come nei sogni più incantevoli Tuta entra e segna con la specialità della casa: il colpo di testa. Potrebbe essere la svolta della carriera, ma un minuto dopo Fonseca pareggia. Si va ai supplementari. Luppi manda in delirio tutto il Penzo, ma Ferrara lo gela definitivamente due minuti dopo regalando il passaggio del turno alla Vecchia Signora. La festa di Tuta è rovinata, la rete non è valsa la vittoria e sarà presto dimenticata. La marcatura però gli spalanca le porte dell’undici titolare la domenica successiva. L’avversario è la Lazio, seria pretendente al titolo. Al 4’ la storia si ripete: mischia in area laziale, un giocatore del Venezia di testa alza un campanile verso il brasiliano che appostato al limite dell’area piccola di destro, al volo, insacca.
Pedone raddoppia nella ripresa e così i lagunari possono festeggiare il primo successo stagionale in campionato. I tifosi adesso gongolano per il suo acquisto e si sfregano le mani immaginando di avere trovato il giocatore simbolo della salvezza. Purtroppo, però, sulla Pianura Padana arriva il generale inverno accompagnato dalla sua fedele compagna nebbia, che copre e dissolve quanto di buono fatto dal giovane brasiliano fino a quel momento. Tuta si incupisce sempre di più e non riesce a ripetersi; i problemi d’inserimento nel gruppo persistono e il solo amico in spogliatoio rimane il connazionale Bilica. La squadra, intanto, torna nei bassifondi e per Novellino l’esonero si fa sempre più incombente. Da un momento all’altro ci si aspetta che la mannaia del boia Zamparini cada su di lui. Il presidente, però, conferma incredibilmente il tecnico e nel mercato di riparazione gli regala uno di quei boeri che tanto fanno ingolosire le piazze: dalla Milano interista arriva, infatti, il funambolico uruguaiano Alvaro Recoba. Per Tuta è una bruttissima notizia perché il giocatore che deve fargli posto è lui.
Il Venezia come per magia si risolleva, soprattutto grazie alla coppia d’attacco Recoba-Maniero che regala gol e spettacolo a tutti i tifosi arancioneroverdi che riempiono lo stadio. Per le altre punte restano solo le briciole, ma nell’aria si avverte che sta per arrivare qualcosa di nuovo. Domenica 24 gennaio 1999, ore 15.00. Mentre una fitta nebbia avvolge la laguna allo stadio Pierluigi Penzo va in scena uno scontro diretto fondamentale tra Venezia e Bari. Chi perde vede aprirsi le porte dell’inferno. Si prospetta un match molto teso e agitato. Gli arancioneroverdi partono forte e al 9’ del primo tempo trovano l’1-0 con Maniero. Non resta che amministrare il vantaggio, ma all’alba della ripresa De Ascentis rimette tutto in discussione. I padroni di casa adesso sono chiamati a reagire, oppure ci si aspetta che gli ospiti approfittino del loro momento di choc. Tutti pensano, insomma, che la partita si infiammi. Il ritmo, invece, si fa blando e non succede più nulla fino al 77’, quando Novellino opta per una sostituzione. Fa così il suo ingresso in campo Tuta che prende il posto di Recoba. Nonostante il brasiliano faccia di tutto per tornare al gol, la partita sembra ormai avviata verso uno scontato pareggio. È il 90’ quando il direttore di gara concede una punizione sulla tre quarti d’attacco sinistra veneziana. Volpi scodella la sfera in area e Tuta, con tutta la sua voglia di riscatto e tutta la sua forza, la schiaccia verso la porta di Mancini . La palla bacia il palo ed entra in porta: 2-1 per il Venezia .
Il sogno si è realizzato. Finalmente quel gol atteso da tutta la vita è diventato realtà e Tuta, ebbro di gioia, va a esultare sotto la curva con i suoi tifosi. Qualcosa però non torna, perché dei suoi compagni il solo Bilica corre ad abbracciarlo. Tutto il resto della squadra rimane impietrito; qualcuno addirittura si mette le mani nei capelli incredulo per tale avvenimento, mentre i giocatori del Bari si guardano attorno come avessero subito una beffa inaspettata. Solo dopo una decina di secondi altri giocatori del Venezia corrono verso l’autore del gol, ma al massimo Tuta riceve una pacca sulla spalla.
I galletti non riescono a recuperare e così gli arancioneroverdi possono gustarsi i tre punti. Al Penzo dovrebbe scoppiare la festa, ma l’aria che si respira è tutt’altro che euforica. I giocatori del Bari rincorrono il match-winner nel tunnel; De Rosa lo aggredisce fisicamente e lo schernisce con un ironico «Bravo» mentre Spinesi prova a spintonarlo. Interviene così il quarto uomo che porta Tuta fuori da quel putiferio aspettando con lui il deflusso di tutto il regolare corteo. Gli animi, però, restano caldi anche negli spogliatoi. Così durante il post partita il brasiliano non si tiene più e sbotta: «E' successa una cosa stranissima, che in Brasile sarebbe assolutamente impensabile. Ho fatto vincere il Venezia con un mio gol, eppure tutti si sono arrabbiati, non solo i giocatori del Bari.Da noi bisogna sempre cercare di segnare, qui invece i miei compagni erano contenti del pareggio» e poi aggiunge: «Maniero mi ha detto che l'incontro era meglio che finisse 1-1». I sospetti avuti dalla tribuna trovano quindi conferma. La Federcalcio apre un’inchiesta, ma incredibilmente il brasiliano ritratta. Zamparini, intanto, glissa e afferma che la colpa è tutta dovuta ad un’incomprensione linguistica poiché Tuta non parla bene l’italiano. Il caso che avrebbe potuto scuotere il calcio italiano si dissolve così in un nulla di fatto. Tuta, però, la sua pena deve ancora scontarla: a fine stagione viene infatti frettolosamente rispedito in Brasile, non prima di aver segnato un altro (ma inutile) gol a San Siro contro i futuri campioni del Milan.
Il Venezia l’anno successivo retrocederà (per poi fallire nel giro di qualche anno), mentre in terra carioca l’ex veneziano ritornerà a segnare con continuità dimostrando a tutti che in fondo non era il bidone tanto decantato e che anzi avrebbe meritato un un’ulteriore chance. Perché il sogno di ogni bambino lui era riuscito a realizzarlo, ma purtroppo era destinato ad essere solo l’anticamera di un brutto incubo.