Lo stadio di Montevideo, se lo si guarda con superficialità dall'esterno, non fa una bella impressione. La passeggiata attorno all'anello non è così piacevole come per altri stadi latino americani che sto visitando. Sembra quasi che tutto sia lasciato all'abbandono, senza cura. Entrando fortunatamente, l'impressione cambia notevolmente.
Questo è lo stadio che ospita le partite del club più popolare di Uruguay, il Penarol, e le partite della "celeste" la nazionale uruguaiana. La seleccion, viene chiamata anche così, è stata la prima nazionale a vincere un Mondiale. Era il 1930. Nel 1950, in pieno regime militare, trionfa in Brasile contro i padroni di casa verdeoro, che ancora oggi vivono quella partita come una sciagura. Anni dopo quel trionfo gli eroi del Maracanà, molti di loro, si lasciarono sfuggire che, col senno di poi, avrebbero forse fatto bene a perderla quella partita, pensando a come il regime l'ha utilizzata. Ma questa è un'altra storia…
Il Museo che è posto all'interno è invece sbalorditivo da quanti sono i rari pezzi d'epoca esposti.
Perché non vengono esposti solo oggetti che riguardano l'Uruguay, ma la storia del calcio mondiale.
Qui si possono ammirare le "camisetas" originali di campioni intramontabili come Vavà (maglia del 1958 originale) e Pelè. La storia del calcio brasiliano. Ma troviamo esposta la maglietta indossata da Hurst nella finale mondiale di Wembley contro la Germania del 1966. E quella di Maradona, indossata nel Mondiale juniores che lo vide protagonista assoluto.
Non posso elencarle tutte, ma ce ne sono tantissime e molto significative. Non mancano palloni, scarpe bullonate e tutto ciò che ha fatto epoca.
Molto emozionante è stato trovare, oltre a Varela e Moràn, tanto spazio dedicato ad Andrade, campione nero che fece tanto discutere all'epoca, visto che il solo Uruguay, a inizio secolo, schierava calciatori neri. Ricordiamo che allora era un Paese molto emancipato, dove le libertà personali e i diritti erano al primo posto. Poi arrivarono i militari e tutto si fermò.
C'è una teca che contiene colorate e significative fasce da capitano. Ognuna personalizzata, cosa che oggi si fa ma allora credo fosse alquanto inusuale.
Coppe, trofei, manifesti d'epoca. C'è anche tanta Italia nel museo.
La parte finale è invece dedicata agli sport olimpici e anticipa l'entrata allo stadio che, pure essendo non modernissimo, assicura un'ottima visuale da qualsiasi posizione. Proprio come gli stadi italiani, verrebbe da dire...