La scelta del presidente Obama di farsi rappresentare, nell’inaugurazione dei Giochi invernali di Sochi, da Billie Jean King ha sollevato un certo clamore, proprio per la storia di questa ex tennista che qui ripercorriamo brevemente.
Fino al 1981, Billie Jean King, nata nel 1943, è stata piuttosto famosa per due motivi. Il primo è perché è una tennista di alto livello: oltre a vincere sei Wimbledon, si era aggiudicata quello che tutta la stampa si era affrettata a definire la “battaglia dei sessi”, cioè una partita di tennis che nel 1973 aveva contrapposto la King al tennista sessista Bobby Riggs, che si era vantato che nessuna donna avrebbe battuto un tennista maschio. Il secondo motivo che aveva dato una notevole fama alla King era il suo essere una delle più determinate sostenitrici della parità tra i sessi, contestando il fatto che ai vincitori dei tornei maschili andavano più soldi delle vincitrici di tornei femminili, ottenendo anche alcuni importanti risultati. Nel 1973, ad esempio, gli US Open erano diventati il primo grande torneo a offrire uguali vincite in denaro sia ai tennisti che alle tenniste. Nel 1981, però, la King finisce sulle prime pagine dei giornali per un altro motivo: ammette di avere da dieci anni una relazione sentimentale con la sua segretaria, Marilyn Barnett. E’ un coming out che avviene attraverso una modalità un po’ particolare, dato che diviene di dominio pubblico durante una causa giudiziaria intentatale proprio dalla Barnett per una questione economica. La King aveva ammesso la relazione lesbica, dichiarando anche di aver scoperto la propria omosessualità solo nel 1968, ma che non aveva avuto la forza di dichiararla perché era cresciuta in un ambiente familiare fortemente omofonico. A fare scalpore non è soltanto che è il primo atleta americano di gran fama ad ammettere di aver avuto una relazione omosessuale, ma anche che è sposata (e lo rimarrà fino al 1987).
Comunque, per i successivi due anni, nonostante volesse smettere, sarà costretta a giocare per poter pagare i soldi per pagare gli avvocati che la difendevano nella causa. Terminata l’attività agonistica, continuerà sia nell’ambito dello sport (sarà l’allenatrice della squadra olimpica femminile di tennis fino al 2002), con buoni risultati, ma anche ad impegnarsi per il riconoscimento dei diritti delle persone lgbti. Il coming out della King, è contemporaneo anche ad un altro coming out che ha come protagonista, curiosamente, un’altra famosa tennista: la cecoslovacca naturalizzata statunitense Martina Navratilova, nata nel 1959. Proprio nel 1981, infatti, decide di fare coming out, anche in risposta ad un gossip e alle relative speculazioni circa la sua relazione con la scrittrice Rita Mae Brown. E’ una notizia che fa il giro del mondo, anche perché è, insieme alla King, una delle prime stelle dello sport ad annunciare di essere lesbica. Qualcuno gliela fa pagare: sono diversi gli sponsor, ad esempio, che rinunciano ad averla come testimonial. La Navratilova però non cede e da lì a qualche anno diverrà la tennista più forte al mondo. Continua anche a impegnarsi in prima persona a difesa dei diritti della comunità lgbti, sostenendo in prima persona i Games Gay. Anche in occasione dei Giochi di Sochi, è tra le atlete a firmare una petizione contro le leggi approvate in Russia contro “le relazioni sessuali non tradizionali”.
Che le prime lesbiche dichiarate nello sport professionistico siano tenniste non è forse casuale. Nelle fantasie omofobe, i giochi di squadra e lo spogliatoio rappresentano una sorta di gomorra, dove gli omosessuali e le lesbiche ne approfitterebbero per saltare addosso a qualcuno/a. E’ una visione assurda, che però, come vedremo nelle prossime puntate, influenzerà non poco anche i coming out. Un’altra annotazione sulle atlete lesbiche. Sempre in un’ottica omofoba e sessista, le lesbiche sono in qualche modo maggiormente accettate perché si ritiene che, con la loro scelta sessuale, condividano in qualche modo un mondo mascolino come è quello dello sport professionistico. E’ anche questo un ragionamento che non sta in piedi, e che dimostra quanto ci sia ancora da cambiare in una visione dello sport omofobo e sessista.
(NoDiSex3 – continua)