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Mentre Roberto Mancini riapre un anacronistico dibattito sulla presenza o meno degli oriundi nella Nazionale italiana di calcio, arriva la notizia dell'inizio dell'iter di approvazione di una proposta di legge sulla cittadinanza sportiva per i figli dei migranti nati in Italia o arrivati nel nostro paese entro i 10 anni d'età. Si tratta di un provvedimento presentato da alcuni parlamentari nel gennaio 2014 e che, dopo la relazione favorevole della relativa commissione in dicembre, ha ricevuto la “benedizione” da parte del Governo attraverso un tweet del sottosegretario Del Rio.
Il contenuto di questa proposta prevede che per i figli dei migranti nati in Italia o arrivati in Italia entro i 10 anni, “possono essere tesserati a società sportive appartenenti a federazioni nazionali o alle discipline associate o presso enti o associazioni di promozione sportiva con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani”. E' una svolta storica.
L'estate scorsa è toccato al Padova e al Siena. Adesso oltre al Parma, rischiano di scomparire Varese, Brescia, Lecce, Barletta, Savoia e Monza. Il livello sempre più mediocre del campionato italiano, le figuracce della Nazionale e dei club nelle coppe europee mettono in evidenza un elemento, su cui oramai chiunque concorda: lo stato di grave crisi in cui versa da alcuni anni il calcio italiano.
Sulle cause e sulle vie di uscita da essa, però non tutti concordano. E' incredibile come anche nel calcio si riprendano argomenti razzisti (“troppi neri nelle giovanili”) per nascondere i veri problemi e di conseguenza si propongano soluzioni (“limitiamo gli stranieri”) per permettere ai veri responsabili di continuare indisturbati a proseguire i propri interessi personali, spartendosi ad esempio il business dei diritti televisivi.
di Mauro Valeri
Ogni iniziativa che si propone di favorire l’integrazione dei migranti e di contrastare le discriminazioni in ambito sportivo è sicuramente positiva. Ciò non toglie che è giusto pretendere anche una coerenza tra ciò che viene enunciato e la pratica quotidiana, soprattutto se a promuovere l’iniziativa sono le istituzioni (amministrative e sportive) e ad essere utilizzati sono i soldi pubblici.
In questi giorni la stampa ha dedicato spazio all’Accordo di programma tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Coni “In materia di integrazione sociale dei migranti attraverso lo sport e contrasto alle discriminazioni”, stipulato il 23 dicembre 2013, e presentato ufficialmente il 17 aprile 2014. Alla base una convinzione: “Il mondo sportivo è stato anticipatore di tendenze positive di integrazione e della costruzione di un comune senso di appartenenza tra i giovani e i loro coetanei – che provengono da altri Paesi o che sono nati in Italia da genitori stranieri – con effetti che si ripercuotono positivamente nelle relazioni interne alle comunità locali sul territorio nazionale”.