di Mauro Valeri
Ogni iniziativa che si propone di favorire l’integrazione dei migranti e di contrastare le discriminazioni in ambito sportivo è sicuramente positiva. Ciò non toglie che è giusto pretendere anche una coerenza tra ciò che viene enunciato e la pratica quotidiana, soprattutto se a promuovere l’iniziativa sono le istituzioni (amministrative e sportive) e ad essere utilizzati sono i soldi pubblici.
In questi giorni la stampa ha dedicato spazio all’Accordo di programma tra il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e il Coni “In materia di integrazione sociale dei migranti attraverso lo sport e contrasto alle discriminazioni”, stipulato il 23 dicembre 2013, e presentato ufficialmente il 17 aprile 2014. Alla base una convinzione: “Il mondo sportivo è stato anticipatore di tendenze positive di integrazione e della costruzione di un comune senso di appartenenza tra i giovani e i loro coetanei – che provengono da altri Paesi o che sono nati in Italia da genitori stranieri – con effetti che si ripercuotono positivamente nelle relazioni interne alle comunità locali sul territorio nazionale”.
Sono parole ovviamente condivisibili, anche se non è stato certo il Coni ad essere stato e ad essere un “anticipatore di tendenze positive di integrazione”, ma tutti coloro che hanno messo in pratica quotidianamente quegli stessi principi che gran parte delle federazioni sportive continuano a contraddire. Da anni ribadiamo quanto le regole del tesseramento e della partecipazione alle gare sono ancora basate su una visione nazionalistica erede del fascismo, che di fatto impedisce ai migranti e ai loro figli di praticare sport, considerati sportivi di serie B perché non possono certo contribuire ad arricchire il medagliere olimpico tanto caro al Coni. Riletto in quest’ottica, quell’Accordo sembra quasi una presa in giro! L’integrazione sportiva vuol dire realmente far sì che per migranti e italiani vi siano pari opportunità. Se il Coni crede realmente in questi principi farebbe bene a richiedere a tutte le federazioni di adeguare i propri regolarmente ad un paese che da vent’anni è diventato di immigrazione.
Di questo abbiamo parlato abbondantemente nel libro “Campioni d’Italia? Lo sport e le seconde generazioni” che forse Malagò e il suo ufficio stampa farebbero bene a leggere. In questo scenario ci sono sicuramente eccezioni positive. Come la Federazione italiana di atletica leggera che, dopo qualche scivolone, è oggi diventata tra le poche federazioni ad aver fatto dell’integrazione la base del proprio regolamento. Lo stesso vale per il cricket, l’hockey sul prato. Non certo per il calcio o il nuoto.
E’ vero che ogni federazione ha una propria autonomia, ma è evidente che il Coni, se volesse farlo, potrebbe essere più incisivo, dando il buon esempio e semmai attraverso la ridistribuzione dei (nostri) soldi. Cosa che oggi non avviene. Se quindi l’Accordo risuona quasi una presa in giro, non va meglio se si legge la composizione del Comitato Tecnico – Scientifico di cui fanno parte “personalità con esperienze sulle tematiche dell’integrazione e della lotta alle discriminazioni razziali”.
Eccole: presidente è Walter Veltroni; componenti: Vincenzo Spatafora (Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza), Renato Villanta (Presidente della Virtus Pallacanestro Bologna), Vincenzo Iaconianni (Presidente Federmotonautica), e le campionesse olimpiche Fiona May, Diana Bianchedi. Ultimo aspetto: quanto costa tutto questo? Anche se non abbiamo trovato notizia nel documento diffuso alla stampa o sui siti istituzionali, si parla di qualche centinaio di migliaia di euro di fondi europei, quasi tutti per spese di comunicazione (elaborazione dell’ennesimo manifesto) che sicuramente sarebbero potuti essere stati spesi meglio.
Ieri i giornali hanno dedicato anche un trafiletto alle iniziative – che dovrebbero essere “riparative” delle ormai note frasi razziste del presidente della Figc Tavecchio - proposte dalla delegata della Figc alla lotta contro il razzismo, l’immancabile Fiona May. Per il momento si sa soltanto che il 21 febbraio da Firenze partirà il progetto “Razzisti? Una brutta razza” (?), che prevederà 20 eventi, uno al mese in ogni in ogni regione italiana, e che coinvolgerà 10mila ragazzi under 18, con momenti di riflessione nelle scuole calcio, testimonianze di personaggi famosi (Marco D'Amore, Frankie Hi-nrg mc, forse Seedorf). La logica appare la stessa: si fa comunicazione antirazzista con il coinvolgimento di persone che rischiano di essere protagonisti di semplici spot, ma poi i regolamenti restano discriminatori. Anche in questo caso i costi del progetto non sono stati comunicati.