L'estate scorsa è toccato al Padova e al Siena. Adesso oltre al Parma, rischiano di scomparire Varese, Brescia, Lecce, Barletta, Savoia e Monza. Il livello sempre più mediocre del campionato italiano, le figuracce della Nazionale e dei club nelle coppe europee mettono in evidenza un elemento, su cui oramai chiunque concorda: lo stato di grave crisi in cui versa da alcuni anni il calcio italiano.
Sulle cause e sulle vie di uscita da essa, però non tutti concordano. E' incredibile come anche nel calcio si riprendano argomenti razzisti (“troppi neri nelle giovanili”) per nascondere i veri problemi e di conseguenza si propongano soluzioni (“limitiamo gli stranieri”) per permettere ai veri responsabili di continuare indisturbati a proseguire i propri interessi personali, spartendosi ad esempio il business dei diritti televisivi.
E' incredibile come di fronte allo sfruttamento di un bene comune, rappresentato da una squadra, da parte di presidenti per i propri interessi politici o economici oppure di fronte al torbido sistema di potere creato dall'asse Lotito-Tavecchio, il dibattito venga spostato dalle dichiarazioni di Arrigo Sacchi, in seguito smentite dai numeri. Infatti solo il 5% dei calciatori delle squadre “Primavera” sono africani.
Se l'obiettivo è quello, non tanto di rilanciare il calcio italiano, ma a questo punto di salvarlo, bisogna avere il coraggio di cambiare radicalmente.
Prima di tutto bisogna ripartire dall'allargamento della pratica sportiva nei territori. La pioggia di milioni di euro della “Fondazione per la mutualità generale negli sport professionistici a squadre” dovrebbe, ad esempio, essere destinata all'abbassamento delle quote d'iscrizione dei ragazzi nelle giovanili, alla riduzione dei costi di gestione per una società di un impianto sportivo o a investimenti nell'impiantistica. Infatti, come prevede la legge Melandri del 2008, una parte degli incassi dei diritti televisivi della serie A dovrebbe essere destinata proprio a questo scopi; peccato però che le intercettazioni telefoniche sul presidente della Lazio, Lotito, abbiano messo in evidenza come questi soldi siano stati utilizzati per comprare il consenso di molti presidenti di Lega Pro.
L'allargamento della pratica sportiva passa inoltre prioritariamente, ad esempio, dal riconoscimento della “cittadinanza sportiva” ai figli dei migranti che, soprattutto nel Nord Italia, garantiscono oramai la sopravvivenza di molti settori giovanili delle squadre di provincia. La Figc deve avere il coraggio di cambiare il proprio regolamento, deve equiparare l'accesso dei figli dei migranti a quello degli italiani “autoctoni”, uniformando la richiesta di documentazione da presentare. Non è solo una questione di civiltà e di diritti di cittadinanza, ma è un provvedimento necessario richiesto a gran voce da molte società sportive, nonostante la retorica razzista alimentata dalle dichiarazioni di Tavecchio e Sacchi.
Un altro aspetto fondamentale di cambiamento passa necessariamente per l'azionariato popolare: i club devono tornare ad essere patrimonio collettivo di una comunità, i tifosi devono avere voce in capitolo sulle decisioni e il controllo sulla situazione economica della propria squadra. Non a caso John King in “Fedeli alla Tribù” scriveva “senza l’urlo e il movimento del pubblico il calcio sarebbe uno zero. Il calcio è una storia di passione. Sarà sempre così. Senza la passione il calcio è morto. E’ la tifoseria che fa diventare il calcio una cosa importante.”
Fino a quando le squadre continueranno a essere proprietà di un singolo affarista, avremo ancora tanti altri Parma nei prossimi tempi.
L'intercettazione telefonica di Lotito su quanta sia “rovinosa” l'eventuale promozione in serie A del Carpi o del Frosinone per la vendita dei diritti televisivi, ha dato inizio all'ennesimo scandalo, che sta cominciando a svelare la rete i meccanismi del nuovo sistema di potere che governa il calcio italiano.
Il 60% delle entrate dei club di serie A (1,1 miliardi di euro) dipendono da un'unica azienda, la Infront, che gestisce la vendita dei diritti televisivi e dovrebbe essere arbitro imparziale nell'assegnazione per conto della Lega Calcio di serie A. Nell'ultima gara, la Infront infatti avrebbe garantito l'assegnazione di una parte dei diritti televisivi anche a Mediaset, nonostante Sky offrisse di più. Il presidente di questa società di consulenza, Marco Bogarelli, è stato in passato consigliere di Milan Channel, la tv satellitare del club rossonero, e contemporaneamente ne cura il marketing e la pubblicità. Gestisce anche la pubblicità negli stadi e i rapporti commerciali di Inter, Udinese, Genoa, Sampdoria, Lazio, Palermo e Cagliari. Casualmente tutte squadre che hanno votato e sostenuto l'elezione di Tavecchio a presidente della Figc.
Infront Italia è la succursale italiana dell'azienda svizzera Infront Sports, presieduta dal nipote del presidente della Fifa Blatter, appena acquistata dal colosso cinese Dalian Wanda per la modica cifra di 1,05 miliardi di euro. Dopo il Mondiale a Natale nel 2022 in Qatar, dovremo aspettarci la finale dei mondiali 2026 tra la nebbia irrespirabile di Pechino?
Un “Que se vayan todos”, questa volta, non è auspicale, ma necessario, se non vogliamo che, come dopo Calciopoli, le cose non cambino. L'azionariato popolare, il riconoscimento della cittadinanza sportiva per i migranti e maggiori investimenti nello sport di base sono l'unica salvezza per questo sport, altrimenti, come diceva sempre John King, il calcio sarà “solo 22 uomini che corrono su un prato e danno calci a una palla: proprio una gran cagata“.