Ogni volta che entro in carcere provo sempre quella identica sensazione.

E' una strana sensazione di pesantezza e compressione, qualcosa che mi porto dentro, che sento di avere lì, nella pancia, che si manifesta nella bocca dello stomaco, in quel preciso momento.

 

Passo il primo controllo dei documenti, dove ti spogliano dei tuoi averi personali, poi un secondo controllo a vista: "Vado al campo da calcio!" e la prima porta si apre, poi la seconda, nome e cognome: "Sono un volontario, sono qui per l'allenamento!", "Ok".

Infine le sbarre in fondo al lungo corridoio, nel ventre del Due Palazzi.

In quei 10 minuti che passano dal mio ingresso in carcere al mio arrivo al campo da calcio, le sensazioni che provo sono sempre le stesse, da cinque mesi a questa parte, ogni qualvolta ripercorro l'ormai abituale tragitto: disagio, inadeguatezza, lontananza.

Ho provato più volte ad analizzare quelle sensazioni e quello stato d'animo preciso.

Ho provato ad estraniarmi durante quel percorso e ad essere il più meccanico possibile, cercando di isolare corpo e mente, ma niente da fare.

L'intensità di quella sensazione è sempre la stessa, sempre allo stesso modo.

Il motivo? Non lo so...

Per mesi ho avuto la pretesa di riuscire a rispondermi, senza però riuscirvi e forse la profonda volontà di farlo, riflette la reale volontà che ho di comprendere il ruolo sociale e lo status di questo luogo all'interno della nostra società, potendo in questo modo comprendere la distanza abissale che c'è tra l'immaginario del cittadino medio riguardo al carcere e ciò che è realmente e quotidianamente questo luogo, custodito in modo così imponente, da quelle mura così alte e controllate a vista da sembrare così invalicabili ed inaccessibili al mondo esterno.

La motivazione più grande per cui mi sono avvicinato al progetto Pallalpiede, finendo per prenderne parte attiva durante gli allenamenti infrasettimanali, è stata essenzialmente quella di voler utopisticamente tentare di avvicinare la forbice che c’è tra il pensiero medio della gente riguardo al carcere e la realtà quotidiana carceraria, che io stesso sarei venuto a conoscere, anche se solo parzialmente, per la prima volta; nell’assoluta certezza che ne sarebbe uscita un’esperienza, che oltre ad essere utile per me stesso, sarebbe stata interessante da raccontare al mio prossimo vicino, rincorrendo per l’ennesima volta la mia personale rivoluzione possibile, quella di vicinanza, costruita insieme alle persone che mi circondano, continuando a credere che se riusciamo ad influenzare il mondo in cui viviamo ed il nostro circondario con la nostra partecipazione attiva, allora possiamo realmente pensare di cambiarlo.

 

Io l’ambiente del carcere non lo conoscevo, non l’avevo mai avvicinato prima, è stato per me il debutto, in quella scena colma di tutte quelle sfaccettature possibili che l’immaginario umano può raggiungere solo con la forza del pensiero e non sapevo quello che mi avrebbe riservato questa nuova esperienza calcistica all’interno del Due Palazzi.

Dopo varie selezioni vertenti essenzialmente su due punti fondamentali, primo l’abilità calcistica e secondo, ma non meno importante, il codice di comportamento mantenuto all’interno della struttura carceraria, siamo arrivati a selezionare una squadra composta da 31 giocatori

Squadra che inizialmente non poteva definirsi tale, perchè assomigliava più che mai alla classica “Armata Brancaleone”, composta da una mescolanza di differenti tipologie di atleti o aspiranti tali, dove in alcuni casi le qualità tecniche risultavano straordinarie ed in altri, l’obiettivo iniziale sarebbe stato quello di perdere un bel po’di chili e di cominciare a correre, prima di parlare di tattica e modulo da adottare in campo.

Squadra che avrebbe acquisito nel giro di breve tempo il nome mistico ed affascinante di Pallalpiede, neo-fondata con i colori sociali bianco-rosso.

Devo ammettere che il mio personalissimo pronostico, riguardo ai futuri risultati calcistici della neonata Pallalpiede, nel campionato di Terza Categoria Padova - girone B, non era dei più rosei, un po’ perché tendo a non fare pronostici quando inizia il campionato e ad andarci con i piedi di piombo (retaggio dell’educazione sportiva ricevuta fin da bambino), un po’ per scaramanzia… anche se poi infondo infondo ero il primo a credere profondamente in questo gruppo di ragazzi che stava cominciando a formarsi. Forse credevo che nella terza categoria padovana il livello fosse più alto e forse non pensavo che questi ragazzi così poco allenati ed in alcuni casi così scomposti nel calciare il pallone o nel colpirlo di testa, si sarebbero messi in forma mentale e fisica così rapidamente da poter affrontare un campionato, che rimarrà pure al più basso posto dei campionati dilettantistici, ma che non è affatto di livello amatoriale.

Fattostà, grazie alla loro voglia di emergere e al loro straordinario impegno, con nostro sommo stupore e contemporanea piacevolezza, i risultati sono arrivati, eccome! Sono arrivati anche i gol, le prestazioni personali e quelle di gruppo, oltre ai punti, tanti, che ci hanno fatto toccare la vetta della classifica, con 8 vittorie (7 consecutive) e 3 sconfitte, nel girone di andata, oltre ai quattro già conquistati (dopo 2 giornate) in quello di ritorno. 

Non sarà la classifica ufficiale, per colpa di questo dettaglio che giochiamo tutte le partite in casa, ma quelle partite noi le abbiamo vinte davvero!

Poi, un giorno di questi, ripercorrendo per l’ennesima volta quel percorso, riflettendoci ancora una volta, sono arrivato ad una conclusione nella mia testa, riguardo al mio dilemma morale.

Credo che la libertà sia una forma d’amore e che quindi qui dentro manchi l’essenziale. 

Poi, in fondo al corridoio, arrivato al campo da calcio, dentro a quel campo da calcio, ritrovo il senso di quello che stiamo facendo e mi ritorna il sorriso pensando che lo sport è libertà e quando c’e libertà c’è anche amore, per 31 di voi, perlomeno…