Il dibattito sulla discriminazione territoriale ha assunto toni paradossali, che provo a ricapitolare, avanzando anche alcune proposte.
.1) Non lasciamo il tifo ai nazi ultrà o ai boss ultrà. La risposta data da alcune curve al tema della discriminazione territoriale è stata, in queste ultime settimane, esplicativa, perché ha evidenziato come su queste tematiche a farsi forte non sono tanto i tifosi quanto presunti “capi ultrà”, che sono stati tra i primi a tradire lo spirito originario degli ultrà, svendendolo al business o alla politica (quasi sempre di estrema destra), favoriti in genere da una forte collusione con le stesse società. Grazie anche ai media, che hanno dedicato ampi spazi alle loro “teorie”, questi presunti “capi ultrà” si sono accreditati per essere i veri portavoce dei tifosi. In questo modo, la campagna contro il riconoscimento della discriminazione territoriale è stato un utile strumento per aumentare ancor più il loro potere e consenso negli stadi, che, al di là del business, finisce per chiudere la bocca ai tifosi “normali” e a ridurre in poltiglie l’antirazzismo, accusato di essere fautore della censura e dell’adesione al Sistema. E’ un meccanismo già adottato in passato, con le “campagne unitarie” contro la tessera del tifoso, o per combattere un presunto “nemico comune”, le cui conseguenze le abbiamo davanti agli occhi.
.2) Se non lo fanno loro, facciamolo noi. La discriminazione territoriale è un aspetto della discriminazione sportiva. Questo è un punto da cui non si può prescindere, perché quanto di più lontano dal modo di intendere non solo il calcio, ma anche le relazioni. Ridurre tutto a semplici sfottò o invocare la libertà di espressione quando questa lede la dignità umana è estremamente pericoloso. Sta a chi crede realmente nella cultura sportiva, che non può che essere antirazzista, far sentire la propria voce. Visto il silenzio (voluto?) della Figc, bisogna allora avere il coraggio di porre noi un discrimine tra ciò che può essere uno sfottò o cosa è discriminazione. Personalmente ritengo che sia sicuramente discriminazione quando i cori o gli striscioni fanno riferimento alla deumanizzazione dell’avversario o a tragedie che hanno colpito una comunità territoriale. Possono anche esserci altri riferimenti discriminatori, e spero che chi è davvero interessato al calcio abbia la voglia di aggiornare questi due fattori che ho proposto.
.3) Il silenzio degli antirazzisti. Il giochino, voluto da tutti (“tifosi”, società, Figc), di modificare le norme sulle penalità relative alla discriminazione territoriale, ha comportato, nel silenzio generale, anche il declassamento della discriminazione razziale (il caso dell’Ascoli è emblematico). Il sospetto è che sia stata una scelta voluta, che ha ricadute anche fuori dal calcio: essere razzisti oggi è un po’ meno grave di quanto non lo era solo qualche mese fa. E’ questo lo scenario del prossimo futuro? Dove sono gli antirazzisti?