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di Pasquale Coccia de Il Manifesto
Tratto da Alias del 28 Dicembre 2013
Il dibattito sulla discriminazione territoriale ha assunto toni paradossali, che provo a ricapitolare, avanzando anche alcune proposte.
La storia di Jawo è comune a quella di molti altri giovani che come lui hanno vissuto buona parte della loro vita in uno stato di perenne fuga. Jawo però appartiene a quella percentuale di persone che è riuscita ad approdare in Italia, scappando da una guerra, correndo giorni e giorni lungo i confini che l’avrebbero fatto giungere in Libia, attraversando da ricercato un deserto senza acqua né cibo, lavorando duro in Libia per permettersi di scommettere sull’unica possibilità che gli avrebbe dato la svolta, ovvero quella d’imbarcarsi per Lampedusa.
Jonathan ha diciott'anni, viene dalla Costa d'Avorio ma ha uno spiccato accento romagnolo. Come tanti e tante è arrivato in Italia più di un anno e mezzo fa dopo lo scoppio della guerra in Libia e con gli altri sta lottando per vedere riconosciuta la propria dignità di essere umano.
Più di un tempo in silenzio, avremmo dovuto stare. Sono più di cinquanta i caduti italiani nel solo Afghanistan, in tutti questi anni. Più di cinquanta. E da noi si usa così.
Farina: “Good Night and good Luck”
Essere il faro, essere il punto di riferimento per la civiltà intera. Questo si asseriva, neppure troppo velatamente, quando per andare a fare la guerra ci si diceva in missione per esportare la democrazia.
La Nazionale ad Auschwitz e a Birkenau. Una visita che ha commosso gli azzurri, come recitano i titoli dei giornali. Idea che è sicuramente partita dal c.t. Cesare Prandelli, che aveva già portato gli azzurri in Calabria ad allenarsi in un campo sorto su un terreno confiscato a una cosca del posto, e ora gestito dall'associazione Libera, di Don Ciotti. Ben vengano questo tipo di iniziative, se sono sincere e sentite. Meno se servono solo per l'immagine, ma Prandelli non mi sembra il tipo.
Qualche settimana fa mi sono trovato a pochi passi da Farina, il giocatore del Gubbio di cui tanto si è parlato a inizio anno. Ricordate? E' quello che ha rifiutato di vendersi una partita della sua squadra, un match di Coppa Italia. E ha denunciato il fatto alla giustizia sportiva.
Per fortuna, sebbene la modernità sia sempre accompagnata da una critica sulla perdita dei veri valori, esistono comportamenti e persone che al contrario sono l’emblema della virtù.
“C'è un clima di totale sfiducia da parte dei tifosi, in generale. A Genova poi, dove sono abituati a vedere la squadra lasciarsi andare ogni fine campionato. E il tifoso si accorge, sa che non sempre le cose sono andate come avrebbero dovuto. Di partite chiacchierate sul conto del Genoa, per via della vicenda scommesse, ce ne sono tante. E possono succedere cose come queste”.
Che sia con le parole o con il gioco, Zeman riesce sempre a mettere a nudo i limiti del nostro calcio. E' accaduto anche oggi, e ve lo voglio raccontare.
Ma cominciamo dall'inizio.
Roberto Renzi e Aziz sono rispettivamente l’allenatore-factotum ed una giovane promessa della “Giovanile Rimini”, squadra di calcio che milita in seconda categoria FIGC, passata, suo malgrado, alle luci della ribalta non perché la sua rosa multietnica è un esempio virtuoso di integrazione e tanto meno perché lo scorso anno, oltre a vincere il campionato, ha vinto la Coppa Disciplina.
FIGC e Lega Calcio hanno fretta di mettere la parola fine a questo scandalo, ma la strada è molto lunga.
Non più tardi di qualche mese fa mi ero già occupato di un macellaio, con l'intento di raccontare cosa stesse accadendo attorno al caso di giustizia sportiva più eclatante dell'anno. Il caso Contador.