E’ probabile che i motivi che hanno spinto Fabio Capello a lasciare, dopo quattro anni, la panchina della Nazionale inglese vadano ben oltre il caso Terry, e che invece rimandino agli scarsi risultati ottenuti a e al non bel gioco fatto vedere in Inghilterra. Prima di essere cacciato, ha preferito andarsene lui. Ma sarebbe altrettanto sciocco pensare che l’aver scelto proprio il caso Terry per uscire di scena sia casuale. Ricordiamo brevemente i fatti.
John Terry, difensore del Chelsea e della Nazionale, era finito sotto accusa per insulti razzisti contro Anton Ferdinand, difensore del Qpr, in occasione del derby del 23 ottobre. Come avevamo scritto in quell’occasione, la denuncia contro Terry era arrivata da uno spettatore che, sentiti gli insulti, aveva sporto denuncia alla polizia. In questo modo, oltre alla giustizia sportiva, si era dovuta muovere anche quella ordinaria, la quale, come si dice in questi casi, sta facendo il suo corso, senza fare sconti all’accusato di fama (dopo essere stato rinviato a giudizio il 1 febbraio, sarà processato il 9 luglio).
Nonostante il Chelsea abbia preso le difese del suo calciatore, dopo il rinvio a giudizio, il 3 febbraio la Federazione inglese (sembra su pressione del governo, e in particolare del ministro dello Sport) informa Terry che non è più il capitano della Nazionale. A questo punto interviene Capello, che rivendica che sulle scelte relative ai calciatori della Nazionale può decidere solo l’allenatore, cioè lui, come sembra previsto anche dal suo contratto. E, in un’intervita alla Rai, conferma che Terry è ancora il capitano della Nazionale, andando così allo scontro diretto con la Federazione (e anche contro il governo, visto che lo stesso premier Cameron ha dichiarato che su Terry Capello ha sbagliato). Capello poteva benissimo contestare la decisione della Federcalcio inglese e rivendicare il suo ruolo di allenatore, ma nel farlo doveva anche pronunciarsi apertamente contro quel razzismo di cui Terry è accusato e che ancora contrassegna molte partite inglesi, e che anche un vecchio marpione come Blatter, presidente della FIFA, che pure aveva provato a sminuire il razzismo nel calcio inglese, era stato presto costretto a fare una rapida retromarcia.
Invece, sembrerebbe che Capello abbia dichiarato, ma in un incontro privato: “Non entro nel merito della questione perché so benissimo che il razzismo è un problema serio e io sono sempre stato sensibile all’argomento”. Forse gli inglesi si sono documentati e non hanno trovato segni tangibili ed espliciti di questa sensibilità. D’altra parte, quando vengono messi alle strette sul tema del razzismo, gran parte degli allenatori stranieri tendono a trincerarsi dietro la frase (tra gli ultimi a pronunciarla Mourinho, interrogato sui cori razzisti contro Balotelli): “Non posso giudicare, perché questo non è il mio paese” (a parte poi che nel proprio paese, tranne quelle all’arbitro, le critiche “politiche” degli allenatori sono sempre molto attenuate). Capello aveva fatto di più: nella sua intervista Rai aveva ricordato che non si può giudicare qualcuno colpevole prima della sentenza. Giudicarlo no, ma sospenderlo sì, visto come sta andando il processo. E poi, non è lo stesso Capello a continuare a stimare un certo Moggi anche dopo che questi è stato condannato per Calciopoli?
In realtà, proprio Capello aveva giudicato positivamente un paese in cui aveva allenato. Era accaduto nel 2006, quando, in un’intervista, aveva dichiarato che in Spagna regnava “il calore e la creatività latina regolati da un ordine rigoroso. L’ordine che viene da Franco”. E all’intervistatore che gli aveva ricordato che in realtà Franco era un dittatore, aveva risposto: “Ma ha lasciato in eredità l’ordine. In Spagna funziona tutto e funziona bene, ci sono educazione, pulizia, rispetto e poca burocrazia. Dovremmo prendere esempio”. A sentire quelle parole, un europarlamentare spagnolo, Raul Romeva, aveva addirittura chiesto un intervento urgente della Commissione europea per condannare quelle affermazioni che “costituiscono una deplorevole apologia di fascismo”. Capello aveva risposto dichiarando di essere stato frainteso, ma pochi ci avevano creduto. Anzi, i verdi catalani, avevano contro risposto, che Capello o “era molto ignorante o ha una visione dell’ordinamento sociale abbastanza pericolosa”. Parole che sembrano adattarsi anche a quanto accaduto di recente in Inghilterra. Di certo, nella sua visione del mondo il razzismo sembra del tutto secondario, elemento che probabilmente gli potrebbe favorire un ritorno in Italia (come molti auspicano), dove la federcalcio non è certo attenta come quella inglese ad un tema da sempre sottovalutato.