Gli ordini arrivano dall’alto perchè la Coppa del Mondo è alle porte. La FIFA ha imposto di "ripulire" le strade di Salvador de Bahia dai senza dimora. Il termine ricorda i rastrellamenti della Gestapo e non è stato scelto a caso. Salvador de Bahia è la città più “africana” del Brasile.

Questa è terra mistica, sincretica è allo stesso tempo un luogo dove fare i conti con la realtà è sinonimo di sopravvivenza. I senza tetto sono numerosissimi, in nessun’altra città del Brasile ce ne sono altrettanti e ovunque sono più di quanto ci si possa immaginare. Quello che sta facendo la prefettura a Salvador è agghiacciante. Coloro che vivono sulla strada non lo fanno certo per scelta e vedersi aggrediti con idranti o peggio da l'idea di cosa stiamo raccontando. 

Sono proprio loro, dal basso che più basso non si può, a indicarci però in maniera nitida qual è il peccato originale, la condizione che ha reso inequivocabilmente la vita di queste persone un girone dantesco. Persone che con la loro dignità stanno mettendo a nudo i limiti di questo gigante che è il Brasile. Sono trecento anni che è sospesa, diciamo così, la questione legata alla spartizione delle terre, la cosiddetta riforma agraria; bisogna anche capire che passando il tempo anche le lotte si evolvono. Se fino a cinquant’anni fa coltivare la terra rappresentava la via più diretta per sopravvivere, oggi le esigenze sono altre. Le persone che vivono ai margini delle metropoli si sono spostate qui proprio perché dove erano non avevano prospettive alcune. Neppure quella di avere un pezzetto di terra in un Paese dove certo non mancherebbe. Quelle persone si sono spostate verso le città per cercare un modo per sopravvivere. E si sono ritrovate ai margini, ovviamente.

Giungendo in aereo a Salvador è impressionante la distesa di abitazioni a dire poco di fortuna che si presentano sotto i nostri occhi. Una terra magica, dai colori così insoliti e forti, dove anche l’aria ha un sapore diverso, che non sembra avere voglia di nascondere troppe le cose. Anche perchè sono così tante, le cose da nascondere intendo, che ce ne vuole per toglierle  mistero. La città è affascinante, la costa meravigliosa ed ha tutto per essere attrattiva per i turisti. Che affollano soprattutto il centro storico, Pelourinho, famoso in tutto il mondo per le sue case colorate.

Ma dietro le immagini da cartolina c’è molta miseria e tanta dignità. Chi vive per strada ha poche cose che difende perché è tutto ciò che possiede. Pezzi di cartone, coperte. Qualsiasi cosa. Si difende il gradino o il pezzo di marciapiede. Si spera che un passante lasci i suoi avanzi del pranzo, una consuetudine in Brasile. I più fortunati, circa cinquanta persone hanno trovato Henrique che ha organizzato “aurora da rua”, un’occupazione di fatto. Una delle tante chiese abbandonate a Salvador è autogestita da senza tetto in qualche modo coordinati da questo visionario laico francese. Uno che non si sa spiegare “perché si deve stare tanto male quando invece si potrebbe stare tutti abbastanza bene. Per il resto non ho altro da aggiungere”. Questo è il personaggio Henrique. Di più non ha detto quando l’ho incontrato. Come lui ce n’è altri, ovviamente, magari più loquaci. Ma è possibile che in un Paese dove l’emergenza abitativa è il problema, bisogna affidarsi alla generosità di alcuni?

Se come abbiamo visto nei giorni scorsi a Brasilia, Rio de Janeiro e Sao Paulo i senza tetto si sono in qualche modo coordinati, grazie anche all’aiuto de MST (movimento senza terra), questo è l’elemento più interessante emerso in queste settimane. Si sta creando una coscienza diffusa che fa capire che la casa è davvero un diritto universale. Che tutti hanno bisogno di un tetto, un rifugio sicuro. La cosa straordinaria è che più dal basso che più basso non si può, sta arrivando un’indicazione che media ed esperti vari dovrebbero prendere seriamente in considerazione. La riforma agraria è strettamente legata alla questione del diritto alla casa.  E’ la sua genitrice. Il diritto alla casa è il diritto alla vita. Il diritto alla vita è di tutti, anche delle comunità cosiddette indigene, dei poveri e di chi non è neppure quello. E’ la storia del Brasile quella con cui si deve fare i conti. Problemi rimandati, questioni irrisolte che poi quando meno se lo si aspetta esplodono e non si controllano più. Il paradosso è che la vetrina che il Brasile aveva scelto per mostrare la propria magnificenza si è ritorta contro.

Peccato che la Coppa del Mondo sia così vicina e non ci sia tempo per altro, perché dal basso che più basso non si può, sarebbe arrivata l'indicazione della strada da seguire.