Ieri tutti i notiziari sono stati aperti dalla notizia della retata dell'Fbi a Zurigo all'interno dell'albergo extralusso, dove si stava svolgendo il meeting annuale della Fifa, il vertice mondiale del calcio. Per fare una paragone è che come se durante un vertice del G8 la polizia arrestasse i capi di stato presenti.
Sono stati arrestati due vicepresidenti FIFA: il britannico Jeffrey Webb (anche presidente della Concacaf, la Confederazione di calcio del Nord, Centro America e Caraibi) e l'uruguaiano Eugenio Figueredo, presidente della Conmebol, la federazione sudamericana.
Tra gli arrestati, oltre a funzionari Fifa ai vertici di alcune federazioni latinoamericane (curiosa la presenza del presidente della federcalcio delle Isole Cayman), c'è anche Josè Maria Marin, il discusso e contestato presidente del comitato organizzatore dei mondiali in Brasile dell'anno scorso.
Durante la dittatura militare brasiliana, Marin era a capo del Doi-Codi, un'agenzia dei servizi segreti legata all'esercito, dal cui ufficio di San Paolo non uscì vivo il giornalista Vladimir Herzog a causa delle torture subite.
Il presidente della Fifa Blatter è stato risparmiato da questa retata, anche se risulta indagato. Si parla di una “corruzione sistemica”, che fa riferimento a un giro di 100 milioni di dollari per la spartizione di diritti televisivi, marketing in tornei di calcio in America Latina.
In questi giorni saremo inondati da trasmissioni televisivi e pagine di giornali pieni di retorica del cambiamento e finte prese di posizione contro il vergognoso sistema di potere che controlla il calcio a tutti i livelli. Un po' come la settimana scorsa con “Dirty Soccer”, l'ennesima operazione contro il calcioscommesse che ha “sconvolto” il football nostrano.
Il rinvio delle elezioni presidenziali della Fifa e la revoca dell'assegnazione dei mondiali 2018 alla Russia e soprattutto di quelli in Qatar nel 2022 sarebbero le uniche due iniziative che mostrerebbero una vera volontà di cambiamento.
Fermare i mondiali in Qatar è prima di tutto una questione di umanità e di rispetto nei confronti delle migliaia di operai migranti già morti nei cantieri di costruzione dei nuovi stadi, ma significherebbe anche cominciare ad invertire la rotta rispetto al dominio del business sul calcio.