Il coming out dell’ex centrocampista della nazionale tedesca e della Lazio Thomas Hitzlsperger, che dopo il ritiro ha rivelato la propria omosessualità in un’intervista a Die Zeit, magari non spezzerà il perdurante tabù omofobo del calcio (egli stesso ha confermato di aver atteso l’addio all’agonismo per renderlo pubblico), intanto però rappresenta un altro piccolo passo avanti. Nel calcio, in sostanza, si è passati dalla negazione dell’esistenza degli omosessuali ad una sorta di apertura, stile sì, ci sono, ma è meglio se nessuno lo dice.
Perché, da Justin Fashanu ad Anton Hysen, il processo di emancipazione è complicatissimo. Eppure, negli anni Settanta del secolo scorso, qualcosa iniziò a muoversi a margine del campo, sulle tribune, ed un club famoso e vincente si ritrovò con l’immagine di società gay-friendly grazie ad un movimento di liberazione omosessuale che mosse da una parte della sua tifoseria. Accadde in Brasile, al Gremio, nel 1976, quando gli animatori del circolo omosessuale Coliseum di Porto Alegre, tutti tifosi del “Tricolor”, decisero di fondare un gruppo organizzato: un anno dopo, spinti dal loro leader Volmar Santos, ecco spuntare sugli spalti dello stadio Olimpico Monumental lo striscione “Coligay”, dietro al quale si piazzavano una sessantina di frequentatori del Coliseum i quali, in poco tempo, si presero la scena per il fascino, l’allegra rumorosità e la qualità del tifo. Particolare non di poco conto: in Brasile, a quel tempo, il governo era in mano al regime militare, che aveva preso il potere con il golpe del 1964. Era ancora il tempo della dittatura dei generali, al comando c’era Ernesto Geisel e certi comportamenti e concetti - compreso quello di democrazia, che pochi anni dopo venne introdotto nel calcio dalla Democracia Corinthiana di Socrates e Casagrande - erano ben lungi dall’essere sopportati.
Grazie al Coligay il calcio scoprì l'omosessualità e, complice anche il periodo più luminoso della storia del Gremio, il gruppo si fece notare in tutto il Brasile: dal 1977 al 1980 il club vinse per tre volte su quattro il titolo gaucho, quello dello stato di Rio Grande do Sul, nel 1981 trionfò per la prima volta nel Brasileirão (il campionato nazionale) e nel 1983 chiuse il ciclo con Libertadores ed Intercontinentale, portando il proprio nome in giro per il mondo. C’erano, in quella squadra, diversi giocatori che, per il loro look e la movimentata vita notturna, trent’anni più tardi sarebbero stati definiti metrosexual, o giù di lì: Newmar, Odair e soprattutto Renato Portaluppi, giovane ed implacabile attaccante che successivamente sarebbe volato in Italia per diventare uno dei più grandi bidoni nella storia della Roma. Belloccio, ciarliero e piacione, riconosciuta fama di sciupafemmine, Renato in quella squadra era anche un’icona gay: «Ho avuto centinaia di donne e, dopo le partite, spesso alcuni tifosi omosessuali mi aspettavano all’uscita dagli spogliatoi, facendomi la posta. Non rientrano nei miei gusti, ma li ho sempre rispettati», raccontò un giorno proprio in un’intervista all’edizione brasiliana di Playboy. La sua immagine rappresentava la copertina patinata di un’enclave non ostile in un mondo decisamente maschilista.
L’etichetta divenne immediatamente uno stigma da parte delle tifoserie avversarie mentre, dopo alcune resistenze ed implicite prese di distanza (il presidente del Gremio, Helio Dourado, preferì non parlare mai dell’argomento), all’interno della torcida gremista la presenza del Coligay fu sempre trattata con una certa ammirazione ed un certo rispetto, anche per la sua caratteristica di avanguardia. Del resto, a suo modo, si trattò di qualcosa di pionieristico, di rivoluzionario. «Per la prima volta - ricordò nel 2006 Santos, che oggi vive a Passo Fundo ed è giornalista e ancora attivista, a Imortal Tricolor, rivista ufficiale del Gremio - gli omosessuali si palesarono in pubblico. E in un Brasile machista come quello di allora non è poca cosa».
L’esperienza del Coligay si chiuse nel 1983, e curiosamente coincise con il canto del cigno del Gremio a livello continentale ed internazionale. E così, ancora oggi, il club di Porto Alegre continua a mantenere la nomea di società e squadra gay-friendly, ricevendone in cambio - abbastanza prevedibilmente - sfottò di stampo chiaramente maschilista e sessista. Basta fare un giro per il web per rendersene conto, e non c’è nemmeno bisogno di navigare più di tanto. Ma non c’è niente di strano, in tutto questo: in fondo è il prezzo che le avanguardie hanno sempre dovuto pagare. Lo sta sperimentando lo stesso Hitzlsperger.
Articolo scritto da Lorenzo Longhi, pubblicato su L'Unità il 10 gennaio.