Nori Hilton, nata a Holguin, Cuba, il 17-01-1961, in Italia da 10 anni, da 2 coach della San Precario Volley.

 

 

Chi non ha mai lasciato la propria casa per forza, chi non vive a migliaia di kilometri dai propri affetti e dalla propria terra, è in difficoltà a capire cosa significhi vivere la quotidianità, le emozioni di tutti i giorni, avendo sempre la testa, ma soprattutto il cuore, a quell’ altra vita che ti aspetta nella tua vera casa, sebbene ormai siano di più gli anni che vivi in un altro posto, in mezzo ad altra gente. È per quello che nasce il nostro percorso, ed è per quello che Nori è di fronte a noi.
Vogliamo capire, prima di tutto noi, cosa significhi vivere quegli affanni quotidiani che abbiamo tutti, quando accanto scorre una vita parallela con la quale confronti tutto, il sapore del cibo, gli occhi e gli atteggiamenti delle persone e persino la musica, la voglia di vivere che da quella vita parallela sembrano richiamarti costantemente dicendoti: “Noi siamo qui, tutto è qui, e anche la tua anima è qui, ma sapremo aspettarti…hasta Sanpre”.
Sì, perché Nori, una volta partita da Cuba si è ritrovata in mezzo alla nostra polisportiva tanto anomala quanto desiderosa di far conoscere al mondo che c’è dell’altro fuori dai grandi riflettori dei mass media, che quel sommerso sconosciuto ai più, è forse più ricco di ciò che ci raccontano, ma quello che è sicuro è che è sicuramente più ampio. Tra di noi che siamo lì di fronte a chiedere e parlare, nessuno da giovane avrebbe forse immaginato di ritrovarsi in questa stanza, in questo preciso istante, ma quella bambina che correva scalza nella provincia di Holguin, certamente era quella che non lo sospettava affatto.Nera come l’ebano, venti centimetri più alta di noi tre che stiamo lì di fronte, sembra una statua che qualcuno ha portato qua, senza neanche darle una verniciatina di bianco per farla sembrare meno diversa. Lei lo sa quanto conta il colore della pelle, lo sa perché per cercare casa, trovare lavoro, avere una vita normale insomma, c’è sempre quel colore indelebile, che a differenza della disonestà, di un passato burrascoso e poco rispettabile, proprio non si può nascondere. Ma quando si parla della sua pallavolo, allora le cose cambiano, sa bene che quel suo fisico le ha dato la possibilità di avere una vita diversa da molti suoi concittadini che, anche se volessero, da quella strana isola non se ne potranno mai andare. A soli dodici anni lascia casa sua, perché un professore di ginnastica l’ha notata, ha pensato che quella bambina potrà farne di strada saltando e schiacciando. Va a soli trenta chilometri da casa, ma dove i mezzi di trasporto scarseggiano, una distanza simile diventa un primo piccolo oceano che si frappone tra te e la tua famiglia. Forse è proprio in quel momento che nasce quella vita parallela che l’accompagnerà costantemente in Italia.
 
Lei è giovanissima, è lontana dalle dinamiche politiche del suo paese, non conosce le relazioni internazionali, ciò che rappresenterà per il suo paese, ma uno spirito di sacrificio marcato, un senso della disciplina altrettanto spiccato sono già presenti. C’è anche una naturale appartenenza a un sistema che ti guida, che ti indica il percorso, che ti fa vivere con più facilità la lontananza da casa, e l’interruzione prematura dell’adolescenza. A Cuba lo sport non si fa per soldi, per ambizione, ma c’è comunque una Bandiera da rispettare, e forse un giorno da rappresentare, e poi c’è un'altra cosa, che attraversa tutti coloro che sono cresciuti nelle difficoltà, quel rispetto per il proprio talento che non va gettato al vento, quella possibilità di sollevare le sorti di te stesso e della tua intera famiglia, che proprio non può andare sprecata. E Nori incarna tutto questo, a quindici anni si allontana ancora di più da casa, perché viene selezionata tra le promesse del proprio paese, e così giunge all’Havana, dove i sogni crescono, ma di pari passo hanno lo stesso incremento anche i sacrifici.Ci si allena la mattina, poi si mangia, ancora allenamento, poi si studia, e infine la cena, poi tutti a letto? No, dopo cena di nuovo ad allenarsi. Senza essere retorici, ma quanti dei nostri ragazzini lo farebbero? È una vita estremamente dura, ma gli occhi da adulto che si riguarda indietro, gliela fanno leggere anche come molto educativa, lontana dai pericoli e da quelle devianze che in un paese difficile potrebbero rendere la vita impossibile.
 
Ma il compito più difficile di chi li educa, che agli ammiratori di Cuba anche da un punto di vista politico, sembrerà un miracolo, è riuscire a indirizzare l’ambizione di queste giocatrici che sembrano poter arrivare alla gloria e alla ricchezza del mondo occidentale. A parte i fighetti del baseball (sport nazionale) loro sono le promesse dello sport che più soddisfazioni dà a livello internazionale. Inoltre si ritrovano a girare il mondo, e oltre a tornei in paesi dove di certo non stanno meglio, come in Corea del Nord, si va anche nei paesi Nord americani, e lì, sebbene sempre accompagnate e scortate, per evitare che qualcuna fugga, le altre atlete le vedono, e quando non ce l’hai, la ricchezza la fiuti con facilità. Ma loro, lasciando da parte le antipatie e le incomprensioni normali che ci possono essere tra ragazzine di quell’età, quando scendono in campo diventano un corpo unico, una squadra che deve innalzare l’onore nazionale, lasciando da parte tutti gli individualismi. Queste ragazze giovanissime, non hanno un’invidia triste, non sono rammollite dall’idea che presto vivranno allo stesso livello delle le loro coetanee occidentali, no, loro hanno come unico obiettivo quello di dimostrare che un paese povero, del terzo mondo, senza mezzi e strumenti è in grado di fregare tutti, e solo grazie ai loro sacrifici al loro impegno. La bandera è di nuovo lì presente a guidarle tutte unite.
 
Nori cresce, la raggiunge anche la sorella minore che addirittura verrà a giocare nella nostra serie A di pallavolo e che sarà il suo lasciapassare per giungere nel nostro paese, comincia a indirizzarsi sul ruolo da allenatrice più che da atleta e così sposta la sua attenzione sempre più su un ruolo diverso da quello per cui era partita da casa, alcuni anni prima. La carriera e l’amore la porteranno a girare per le varie regioni di Cuba. Vivendo in un centro sportivo ha conosciuto un altro atleta, l’amore della sua vita, il padre di suo figlio, e in più si deve spostare dall’Havana perché gli vengono assegnati via via compiti diversi, sempre legati allo sport, fino ad arrivare a diventare una sorta di direttore generale di una regione dove vanno coordinate decine di figure che appartengono ai vari staff delle varie discipline sportive.
 
Poi qualcosa cambia, quel marito purtroppo non c’è più, rimane un bambino a cui il destino ha giocato un brutto scherzo, un fisico e una predisposizione allo sport forse maggiore a quella dei suoi genitori, però c’è qualcosa di non perfetto nel suo cuore. Quel bambino e poi ragazzino, vorrebbe giocare e saltare, i suoi futuri due metri e poco più di altezza si capisce che sbocceranno in quel bambino che è un vero fenomeno nelbasket. Ma bisogna tenerlo a freno, non è facile, ma bisogna farlo, è come una meravigliosa Ferrari a cui è stato ingolfato il motore, è impossibile farla partecipare alle corse. Ed è lì che forse in Nori scatta la molla, quel suo bambino non potrà avere i privilegi che ha avuto lei grazie allo sport, a meno che non lo porti via da lì, o quanto meno se ne vada lei per dargli qualche possibilità in più. La sorella è già giunta in Italiae un brutto infortunio l’ha allontanata dalle competizioni sportive portandola ad aprire un ristorante. Ha due figli piccoli, e proprio non ce la fa da sola. Nori è indecisa, è dura lasciare un bambino, soprattutto un figlio che vorresti controllare sempre per paura che faccia quel salto in più o quello scatto di troppo. Però forse è l’unica decisione possibile, perciò abbandona il ruolo di dirigente, altrimenti non potrebbe lasciare il proprio paese, e dopo due anni arriva qua.
 
Deve tornare spesso a Cuba, oltre che per vedere il figlio gli altri fratelli e la madre, anche per non perdere la cittadinanza e diventare straniera nell’unica terra dove vorrebbe vivere. I gusti genuini della sua terra, ma soprattutto il caldo e quel mare che ti avvolge dolcemente quando ti ci tuffi dentro, sono duri da dimenticare, ma c’è sempre la musica di quella vita parallela che si fa sentire e che le dice che non c’è fretta, che tutto è lì ad aspettarla. Qua i ritmi sono feroci, e se non fosse per quella musica e quella vita di sacrifici che vanno mano nella mano nella vita di un cubano, sarebbe dura sopportare di dover fare la cameriera, o pulire le case, quando fino a pochi anni prima si era dei dirigenti. Eppure è una scelta che andava fatta, seppure la lontananza dal suo spirito la ritrovi anche allenando squadre amatoriali, in cui non capisce come possa mancare quella voglia di emergere e di dimostrare, prima di tutto a se stessi, che ce la si può fare, senza rimpianti, e che soprattutto impegnandosi ci si può migliorare senza accontentarsi mai. È lontana la sua terra, nonostante dei nuovi affetti, una nuova casa e un percorso comunque decoroso. Non sono i tanti sacrifici e le tante difficoltà a darle nostalgia, quanto quel ritmo che la richiama da quella vita parallela, che però ha anche il pregio di ripeterle: “tranquilla, non c’è fretta, un giorno tornerai e gli sforzi da fare, le energie da impiegare riguarderanno un’unica vita, come è giusto che sia”.
 
 
Un ringraziamento particolare a Pino Lazzaro...
 
" ama lo sport odia il razzismo " e forza Sanpre!