La forza politica dell’associazionismo del FC Sankt Pauli e la sua internazionalità
Da Amburgo, Massimo Finizio
All’inizio furono gli inglesi. Dai college di Eton, Charterhouse, Harrow e Rugby, sulla spinta di filantropi e pedagogisti innovatori per l’epoca (inizio Ottocento) come sir Arnold, nacquero le prime forme di calcio giocato. Disordinato, aggressivo, senza troppe regole. Un peccato originale. Una mela morsicata che si sarebbe trasformata nel secolo e mezzo a venire in una passione popolare senza ritorno.
Ma gli inglesi non hanno inventato solo il calcio e il rugby. Hanno creato al loro interno anche un modo di esistere e convivere, le cosiddette “association”, che coinvolgono il mondo dello sport e della vita quotidiana, e la “membership” per farne parte. Un modo per coinvolgere le comunità e creare “social work” attorno a questo “peccato”, che era già all’epoca molto più di uno sport, nonché espressione della cultura di un quartiere, di una città, di un corpo sociale.
Il peccato originale calcistico sembra allora depositato in Inghilterra. Se non fosse che un piccolo club all’ombra dell’imponente porto della città di Amburgo, il FC Sankt Pauli, fucina di socialità e rivolte, promuove ancora oggi e sempre di più un’idea di partecipazione attiva e di aggregazione. Raggruppa e coinvolge su di sé non solo le attenzioni dei mass media, ma anche gli occhi di tanti amanti del buon calcio e di coloro che lo vogliono amare ancora. Proprio come agli albori del football. Forse con una consapevolezza politica e sociale molto più grande e sviluppata.
Dai lontani primordi ottocenteschi, che sui campi fangosi delle campagne d’Oltremanica vedevano rotolare palloni rincorsi da gentlemen in blusa e cravatta, il calcio si è infatti evoluto fino a diventare oggigiorno affare di tycoon milionari o padroncini di città. Almeno, questo è quanto accade nel Belpaese. In Germania, patria per eccellenza dell’associazionismo, della partecipazione e della socialità, il calcio è sempre stato uno strumento di unione.
Tutto il mondo, tranne la nostra Italia, organizza lo sport in associazioni sportive; questa è la chiave di volta organizzativa che ovunque la fa da padrona. Si pensi alla Spagna, dove Real Madrid e Barcellona vincono trofei, forti dei loro 100.000 e più soci nei rispettivi club; in Turchia il Fenerbahçe resta davanti con oltre 170.000 soci, il Boca Junior a Buenos Aires ne conta oltre 80.000. Non è un mero fatto di numeri, anche se l’Europa conta le più grandi associazioni del mondo: il Benfica 220.000 e il Bayern 250.000 soci.
Il FC St. Pauli annovera nella sua associazione oltre 17 discipline sportive: i soci praticano sport attivamente, le sezioni sono di alto livello e partecipano ai vari tornei e campionati nazionali relativi. Negli ultimi 12 anni le donne del rugby sono state, ad esempio, ben 7 volte campionesse di Germania, mentre la sezione del Triathlon è di livello mondiale. Con i suoi 25.000 soci il FC St. Pauli coinvolge più di ogni altro club la propria comunità di riferimento, emanando influssi in tutto il mondo sportivo e non. Preso e visto come un “modello”, il FC St. Pauli è una sorta di Barcellona o Juventus dell’associazionismo calcistico, pur senza mai aver vinto nulla. Con una reputazione internazionale di alto livello. Tanto da essere emulata anche al di fuori dei confini teutonici.
Come in Danimarca, dove Il BK Frem di Copenhagen, squadra nobile con i suoi 8 campionati vinti e due coppe danesi, varie partecipazioni alla Coppa Uefa, l’ultima nel 1993 uscendo al secondo turno. Lo scorso mese ha invitato per una amichevole il “modello Sankt Pauli”. Oltre 8.000 spettatori hanno assistito, sotto un sole da 30 gradi e un’umidità modello Sicilia, a una partita da “working class”. Il presidente del BK Frem, Claus Mohrhagen, il giorno prima della partita ci stringe la mano con un grande “benvenuti” e insieme a 2 membri del CDA del club, Per Jakobsen e Simon Nyborg, ci spiega il perché del valore di questa amichevole; solo un modello sociale oggi può portare a un calcio diverso, la loro volontà è infatti di affiancarsi al Sankt Pauli e acquisire queste idee. Il club è il secondo più antico in Danimarca e vanta 3 giocatori del passato tra i migliori 10 di sempre nel paese: gli ex juventini John Hansen e Karl Arne Praest e Pauli Jorgensen, giocatori che hanno fatto la storia del club e della Danimarca. Il BK Frem fu fondato nel 1886 in opposizione alle richieste del governo danese, che voleva esso stesso gestire e organizzare tutte le associazioni del paese, imponendo statuti e nomine dall’alto. Fin dalle origini questo club avrebbe avuto nel sangue il Sankt Pauli. Per questo nel 1886 si chiamò BK Frem, ovvero “Associazione Calcistica Avanti”, di stampo sociale e per quei tempi assolutamente “rivoluzionaria”. Ancora oggi il quartiere in cui ha sede il club è il classico sobborgo della classe operaia, anche se poi lo stadio con il Sankt Pauli si è popolato di tutte le classi e delle persone più disparate a festeggiare insieme ai tedeschi venuti in amicizia da Amburgo. Simon Nyborg ci dice che “il Sankt Pauli costituisce assolutamente un modello a cui far riferimento, solidarietà insieme a partecipazione sono valori basilari per il club”.
Anche il BK Frem è quindi un’associazione e tra le altre attività vi è il cricket, come il Genoa delle origini; peccato che in Italia la struttura associativa si sia messa da parte, a vantaggio di un’organizzazione capitalista dove i presidenti fanno il bello e il cattivo tempo, gli spettatori pagano il biglietto come semplici clienti passivi e lo stato spesso non incassa nemmeno le tasse.
Per dare un’idea della risonanza di questa partita, tutti i giornali nazionali e internazionali si sono scomodati, assieme alle televisioni, per vedere il piccolo-grande FC St. Pauli in trasferta.
“Arbejderen”, il giornale dei lavoratori, titola in grande: “Lotta di classe”, e parlando con tutti i dirigenti e i soci del club traspare quella leggiadra e tipica spensieratezza danese, il voler divertirsi senza razzismi e prevaricazioni. Anche questa è classe! Una festa “internazionale” insomma, dove il calcio giocato è solo la scusa. Famiglie, donne e bambini sono accorsi in tanti allo stadio senza preoccupazioni e hanno trascorso una domenica spensierata. Particolare “classe” la si riscontra poi nel CDA del club, dove da statuto ci sono 4 consiglieri eletti e 2 invece portati dai gruppi dei sostenitori come propri rappresentanti: il massimo della democrazia e della partecipazione. Esso organizza da alcuni anni gruppi di lavoro per sviluppare attività sociali e progetti per il quartiere. Il complesso sportivo è il più grande in Europa, con innumerevoli e stupendi campi di calcio in erba e alcuni in sintetico, dove donne e uomini praticano sport. In questa struttura nel 1986 anche il nostro Michel Platini insieme a M. Laudrup e Tacconi giocarono addirittura per il centenario della fondazione della Associazione del BK Frem ed in onore ed a perenne ringraziamento dei grandi giocatori bianconeri del club di Copenhagen.
Allo stadio c’erano anche alcuni rappresentanti del Bohemians di Dublino; anche loro raccontano delle stesse lotte e modelli organizzativi. I soci, infatti, eleggono come nel BK Frem e nel St. Pauli, la presidenza e il consiglio di amministrazione. Le lotte al razzismo e alla violenza anche a Dublino sono nel programma delle società calcistiche.
Da nord a sud, dalla Danimarca all’Irlanda, tutti guardano dunque al “modello St. Pauli”. Anche in Svizzera, patria di tutto rilievo per gli albori del football, l’associazionismo dice la sua. N. Trabajolo, responsabile commerciale del Servette di Ginevra, afferma infatti: “anche noi siamo un’associazione in cui la sezione del Rugby questo anno si è laureata campione, così come la nostra Under 21 partecipa alla prossima Champions Youth League. Conoscevo già l’organizzazione sociale del St. Pauli. Riportare questo modello in qualsiasi altra nazione non è semplice ma è sicuramente fattibile. I progetti ecosostenibili del Sankt Pauli sono fantastici, anche per noi questo è il modello”.
Per non parlare del FC United Manchester, i cui soci sono nientemeno che ex tifosi del Manchester United che nel 2005 si dissociarono dalle politiche gestionali di Glazer e presero come modello organizzativo proprio il Sankt Pauli. Il FC United of Manchester, anche per questa simbiosi sociale, fu invitato nel 2010 a una partita commemorativa del centenario del FC St. Pauli, mentre lo scorso anno è stato ospite del Babelsberg 03 a Potsdam. Quando si dice che tutte le vie portano a Roma forse è vero; sportivamente, invece, le vie ultimamente portano sempre a Sankt Pauli.
Tornando in Germania, Jens Luescher, vice presidente del Babelsberg 03 di Potsdam, sottolinea come il club spesso abbia problemi di identificazione, venendo spesso chiamato il “Sankt Pauli dell’est”. Il loro associazionismo ha portato a organizzare annualmente incontri sportivi antirazzisti di calcio con gruppi provenienti da tutta Europa, come il Genoa, il Bayern e la Juventus. “Il Babelsberg - dice Jens - ha creato un gruppo di lavoro che è stato denominato ‘Welcome United 03’ per integrare nelle diverse sezioni sportive del club i vari rifugiati provenienti da tutto il mondo”. Pionieri e progressisti con una vera lotta di classe. I soci e il CDA del Babelsberg guardano anche loro al Sankt Pauli, varie sono state le amichevoli con i “Pirati di Amburgo” e tante sono le analogie organizzative.
Tutti i consigli di amministrazione dei club citati hanno come comune denominatore la preoccupazione primaria di mobilitare i soci, coinvolgendoli in progetti sociali e anche sportivi. I club puntano su questo modello e ne vengono ripagati, soprattutto il ben conosciuto FC Sankt Pauli. Non solo con la popolarità ma anche con un aumento esponenziale della richiesta di diventare parte integrante della famiglia associativa. Il FC St. Pauli circa 10 anni fa aveva, infatti, solo 8.000 soci, diventati oggi oltre 25.000; il FC Bayern Monaco nel 2014 è passato da 233.427 a 251.315, dati comunicati dal Presidente del club Karl Hopfner durante l´ultima assemblea dei soci di fine novembre 2014 e davanti alle migliaia di soci convenuti.
E l’Italia che fa? Nel “Belpaese” ci teniamo il capitale dei presidenti spesso incompetenti e senza un legame con la storia del club e i suoi colori sociali. Qualche timido tentativo di seguire il “modello St. Pauli” dell’associazionismo è in realtà in atto. Ma qui non si parla certo del nuovo Parma, del fantomatico azionariato popolare che coinvolge gli “azionisti” in un mero processo di foraggiamento economico del club, senza un’effettiva partecipazione attiva alla gestione e alla quotidianità sociale dello stesso. Non si tratta infatti di “azioni”, ma di diritti e doveri. Quelli che permettono a un socio di un club fondato sul modello associazionistico di esserne parte integrante e attiva.
Le numerose compagini di calcio dal basso, come le romane Ardita, Atletico San Lorenzo e Spartak Lidense, la leccese Spartak Lecce, le partenopee Quartograd, Lokomotiv Flegrea, Afronapoli e Stella Rossa 2006, l’Ardita Due Mari di Taranto, l’Atletico Brigante di Benevento, l’RFC Lions di Caserta, la novarese CSRC Cuore 1990, il Brutium di Cosenza, la Konlassata Ancona, l’Ideale Bari, la Polisportiva San Precario di Padova, la Polisportiva HSL di Bologna, la neonata GS Dal Pozzo e moltissime altre realtà nascenti, seguono consapevolmente o meno il modello propinato dal St. Pauli. La loro forza è ancora circoscritta alla sfera dilettantistica e amatoriale, ma la partecipazione, la condivisione e il valore sociale di questo sistema organizzativo deve fare breccia su tutto il mondo sportivo, anche e soprattutto quello professionistico. Per toglierlo dalla morsa opprimente del capitalismo.
Il FC St. Pauli punta dunque a un modello “sostenibile”, un modello sociale e integrativo da diffondere. Soprattutto in Italia, dove addirittura sono stati scritti due dottorati su questo club, presso le Università di Urbino (2009) e di Milano Bicocca (2013); nell’anno corrente due sono stati i libri pubblicati sul club, “Ribelli, sociali e romantici. FC St. Pauli tra calcio e resistenza” di Nicolò Rondinelli (Bepress Edizioni) e “St. Pauli siamo noi. Pirati, punk e autonomi allo stadio e nelle strade di Amburgo” di Marco Petroni (Derive Approdi). Un libro invece fu scritto in inglese lo scorso anno (“Pirates, punks and politics” di Nick Davidson) e uno è appena uscito in Polonia. A dimostrazione di quanto sia potente l’immaginario, o meglio, la realtà culturale e politica del club amburghese. Solo alcuni giorni fa il The Guardian inglese pubblicando un nuovo articolo sul Sankt Pauli riportava anche esso la straordinaria internazionalità del club citando anche il nuovo libro di N. Rondinelli.
Reinher Karl, vicepresidente del FC St. Pauli eletto dall’assemblea dei soci il 16 novembre scorso, avvocato specializzato nel campo dei brevetti, quasi sorpreso da questa attenzione mondiale per il modello organizzativo del club, conferma: “stiamo sviluppando nuove strategie. In particolare il club ha acquisito una dimensione talmente forte che si impone quasi una riorganizzazione e specializzazione globale, alla quale in questo momento il club non è ancora preparato”. Lo stadio è diventato piccolo, con 29.500 posti esauriti e richieste che arrivano ormai da tutto il mondo, merchandising e magliette che vengono vendute in ogni angolo del globo, oltre 450 club di sostenitori sparsi sui 5 continenti, dall’Australia all’Argentina, nonostante il club non abbia mai vinto nulla e continui a giocare nella serie B tedesca. Karl si dice molto determinato; con il CDA del club si stanno sviluppando non solo nuovi progetti sociali ma “obiettivo fondamentale è il consolidamento mondiale del club sia a livello sociale, allargando la base dei soci, sia sviluppando professionalmente la presenza globale del club”.
Sankt Pauli è dunque il peccato originale. Sankt Pauli è il modello da seguire. Un modello di “lotta di classe” e partecipazione.
Sanktpauliani di tutto il Mondo unitevi!