Se in Italia il "rilancio" del calcio deve passare per le mani e le idee di Tavecchio stiamo messi male.
Non che prima stessimo bene per carità ma una volta dimesso (finalmente) Abete ci aspettavamo tutto, tranne l'uomo, arrivato dalle caverne, che esordisce con una frase sgradevole e razzista sull'inserimento nel calcio di giocatori extracomunitari. Tralasciamo il discorso tecnico sull'inserimento di giovani extracomunitari più o meno capaci tecnicamente dei giovani comunitari o italiani che poco ci interessa e ci soffermiamo su quello che è il problema, per noi, principale della vicenda. Quindi siamo sicuri che il problema sia "solo una frase"? Infatti oltre ad essere stata una scelta di cattivo gusto, citare e accostare extracomunitari alle banane, il problema è il razzismo istituzionale e culturale che in questo Paese esiste eccome se esiste, nello sport e nel calcio in particolare. Per tant@ le scuse del settantenne della provincia di Como, democristiano di fede, basteranno. Per noi no! Non bastano perché il problema non è una "frase" ma è un pensiero, un'idea di fare e parlare di sport che non ci appartiene e che vogliamo cambiare.
Non possiamo far finta di nulla, o annoverare anche questo episodio come poco importante, non possiamo ad esempio dimenticare la vignetta della Gazzetta dello Sport di un Balotelli come se fosse KingKong seguito dal titolo “Il Re della Giungla” dopo il gol all'Inghilterra al mondiale brasiliano o le fantasiose inchieste fatte sempre dalla rosea su quanto sono “scarsi” gli stranieri in Italia (prima pagina del 12 luglio) e sono esattamente lo stesso germe dei buu razzisti negli stadi, dei tanti episodi di discriminazione a cui siamo stati abiutati nel calcio, segno di una forma mentis difficile da scalfire ma che va combattuta e che fino ad ora le Istituzioni hanno sottovalutato salvo poi punire a furor di popolo con curve chiuse o giornate e giornate di squalifica, ma poi sul più bello, quando il candidato favorito alla presidenza della FIGC ha ormai la strada spianata, ecco fuori la frase razzista, su tal Optì Pobà e le banane, come se il gesto di Dani Alves non fosse mai accaduto, a dimostrazione che il razzismo è un germe che va debellato non solo con le squalifiche, ma con un grande lavoro culturale e politico anche nel calcio e nelle altre discipline. Noi crediamo che lo sport sia aggregazione, condivisone, cooperazione e solidarietà e siamo convinti che l'approccio e la mentalità con il quale dobbiamo praticare e pensare non solo il calcio in Italia sia questo ed è per questo che quotidianamente ci sporchiamo le mani con il lavoro svolto nelle nostre polisportive antirazziste. Lo sport vissuto, pensato e agito senza discriminazioni e con sana competizione è l'obiettivo che ci poniamo e per il quale lavoriamo. Lo abbiamo dimostrato con la campagna "Gioco anch'io" e la campagna "NoDiSex - contro ogni discriminazione per orientamento sessuale nello sport". Lo "svecchiamento" tanto richiesto da media, presidenti, dirigenti, calciatori e appassionati di sport deve passare prima di tutto dal modo di pensare lo sport nel 2014 e poi per gli uomini.