Elisa Virgili ha scritto “Olimpiadi. L’imposizione di un sesso” in cui osserva il mondo dello sport dal punto di vista degli stereotipi e della costruzione del genere. Per saperne di più l’abbiamo intervistata.

1. Fai una breve introduzione al tuo libro, un racconto del tuo lavoro per “non addetti ai lavori”

Il mio libro comincia raccontando una storia per come è stata raccontata dai giornali e dai blog, e poi la ri-racconta da un altro punto di vista, o meglio, andando più a fondo. Questo testo racconta la storia dell’atleta sudafricana Caster Semenya, medaglia d’oro negli 800 metri piani ai Campionati mondiali di Berlino 2009. Durante le gare erano sorti i primi dubbi sul suo sesso e in seguito a questo le era stata contestata la medaglia. È stata sottoposta ai cosiddetti “test di genere” che dovevano servire a stabilire il suo sesso e in che categoria dovesse concorrere.

La mia versione della storia è un po’ diversa. Ho cercato di porre delle domande sulla validità delle categorie sessuali sportive e non solo. Ho colto l’occasione per fare una riflessione sul genere e sul sesso, anche al di là dello sport, utilizzando come base il pensiero di Foucault e le teorie Queer americane. Ho cercato di capire fino a che punto i corpi sono costruiti e quali sono i meccanismi e le norme che attuano questa costruzione che impone a tutti i corpi, anche a quelli dei soggetti intersessuali, di rientrare in uno dei due sessi.

2. Come sei arrivata alla decisione di usare lo sport come strumento per parlare di questioni di genere?

Diciamo che ho utilizzato l’ambito sportivo un po’ come pretesto, o meglio come punto di partenza, per sviluppare il discorso sull’imposizione del binarismo sessuale. Sono partita dal caso di Caster evitando di disegnare la figura di una sovversiva che combatte le imposizioni sociali o una figura paradigmatica queer, semplicemente ho raccontato una storia che serviva a spiegare meglio una teoria che da sola forse sarebbe stata meno comprensibile.

Per quanto riguarda lo sport invece mi sembra che sia un ambito in cui le categorie del maschile e del femminile sono molto evidenti e ben determinate, allo stesso tempo però, proprio perché queste categorie sono così rigide, ci sono molti i casi eccezionali, che non rientrano in queste categorie e che ci fanno interrogare sull’esistenza di un “vero” sesso.

3. Come definiresti il mondo sportivo dal punto di vista delle differenze di genere?

Certamente le differenze biologiche caratterizzano uomini e donne quando si tratta di sport, soprattutto in ambito agonistico, inoltre gli sport sono stati pensati e sviluppati secondo modelli maschili. In particolare negli sport più popolari, i media tendono a rafforzare gli stereotipi di genere e cercano di marcare ancora di più i ruoli tradizionali di maschio e femmina. Le donne sono sì riuscite a entrare nel mondo dello sport, ma sono rappresentate come adatte solo a certi sport e non ad altri, in particolare quelli che hanno una certa estetica più femminile. Mi sembra che a volte si faccia un passo avanti e due indietro. Solo nel 2009 il Comitato Olimpico ha decretato l’ammissione del pugilato femminile nei giochi olimpici, unico sport olimpico fino a quel momento esclusivamente maschile. Poco prima delle Olimpiadi di Londra di quest’anno però l’International Boxing Association (Aiba) ha proposto di far combattere le donne pugili in gonna perché così sarebbe più riconoscibile la gara femminile da quella maschile, visto che l’uso del casco potrebbe confonderci soprattutto se vediamo la gara in tv. Naturalmente questa proposta è stata accolta da molte polemiche da parte delle pugili e alla fine è stato deciso che indossare la gonna sul ring è facoltativo.

4. Quali differenze ci sono fra lo sport delle grandi vetrine e lo sport della “gente comune”?

Questo libro è dedicato alla Palestra Popolare Comasina dove io seguo un corso di pre-pugilistica perché l’idea di sport che c’è in quel luogo è ben diversa da quella che c’è alle Olimpiadi. Dove mi alleno io non ci sono differenze tra maschi o femmine tanto quanto non ci sono tra alto o basso, magro o grasso. Ognuno si allena secondo le proprie caratteristiche e ognuno è diverso dall’altro, naturalmente se devi fare qualche esercizio scegli quello un po’ più simile a te. L’idea non è che siamo tutti uguali ma che siamo tutti diversi e ce ne vantiamo. Questo nelle grandi competizioni non è possibile e le categorie sono necessarie, bisogna vedere quali però.

5. Quali proposte esistono, se esistono, per superare la distinzione in categorie in base al sesso?

Nel libro prendo spunto da un progetto del Prof. Stefano Scarpa per proporre delle categorie alternative a quelle attuali.

La prima soluzione proposta prevede che l’atleta intersessuato possa scegliere la categoria in cui competere. La seconda possibilità consiste nell’istituzione di una terza categoria che permetta di rispettare i diritti degli intersessuati e degli altri atleti, eliminando i possibili vantaggi o svantaggi che potrebbero avere i primi quando si inseriscono nelle categorie maschili o femminili. La terza opzione è quella di far partecipare gli atleti intersessuati nella categoria più difficile. La quarta possibilità è quella che mi è sembrata più interessante. Prevede che le categorie siano organizzate in base a standard sportivi indipendentemente dal sesso di appartenenza. L’ultima opzione non prevede soluzioni possibili. Si dovrebbe prendere una decisione caso per caso, tenendo conto di diverse variabili, fisiche, psicologiche e inerenti alle caratteristiche della gara. I ricercatori propongono che questa decisione venga presa da un’equipe formata da atleti, intersessuati e non, medici, giudici, organismi sportivi nazionali e internazionali.

Ognuna di queste proposte ha vantaggi e svantaggi, ma credo che sia possibile e utile basarsi su caratteristiche del corpo che servano specificatamente a quella competizione andando al di là del sesso biologico.

6. Fai riferimento a teorie sul genere conosciute nel tuo lavoro e a come potrebbero essere applicate al mondo dello sport?

Tutto il ragionamento sulle categorie sessuali sportive è sostenuto dalle teorie Queer, soprattutto quando si tratta di decostruirle. Ancora più a fondo c’è il ragionamento foucaultiano sui discorsi normativi che agiscono sui nostri corpi, in particolare sul sesso e sul genere. Questa è la base. Nello specifico il collegamento tra sport e filosofia è nell’articolo che Judith Butler ha scritto quando hanno confermato la medaglia di Caster, in cui propone, come nella quarta possibilità di cui ho parlato prima, di basarsi su criteri che siano altri dal sesso biologico maschile o femminile.

Riferimenti bibliografici: Elisa Virgili, Olimpiadi. L’imposizione di un sesso, Mimesi, 2012, 105 pagine, 10 euro.

 

Tratto da milanoinmovimento.com