Federazione Italiana Nuoto e discriminazione: norme che non stanno a galla.
La notizia è di quelle che fanno accapponare la pelle. Una bimba di dieci anni esclusa da una gara di nuoto sincronizzato perché di nazionalità non italiana. E’ successo a Campodarsego, in Provincia di Padova.
A volte ritornano
Non è la prima volta che ci occupiamo della FIN in questa rubrica. La Federazione Italiana Nuoto fu parte in causa nel “caso Ernandez Paz” e venne in un successivo articolo (“In vista del tesseramento 2012/2013: considerazioni, spunti, suggestioni”) indicata come esempio –negativo- riguardante la presenza di norme discriminatorie all’interno dei regolamenti federali.
Norme discriminatorie
Proprio in quell’articolo indicammo come discriminatorie le norme federali, contenute nel Regolamento Organico FIN, che oggi vietano ad una bimba nata e cresciuta in Italia di continuare l’attività sportiva al pari dei coetanei italiani.
Si tratta dell’art. 11 co.1) II il quale sancisce : “atleti di nazionalità non italiana tesserati alla FIN salvo quanto previsto nel punto III (n.d.r. riguardante i campionati di pallanuoto) sono esclusi dalle gare a squadra; alle altre gare individuali essi partecipano solo se preventivamente autorizzati dalla FIN. Essi rimangono comunque esclusi da qualsiasi classifica o graduatoria ufficiale della FIN e dalla partecipazione ai Campionati Nazionali”; da leggere in combinato con l’art. 55: “Con riferimento alle norme dell’art. 11/1/II, alle sole gare individuali della manifestazioni agonistiche federali possono partecipare, fuori classifica, anche atleti di nazionalità non italiana tesserati alla FIN a condizione che la FIN abbia dato, caso per caso, preventiva autorizzazione; essi non possono comunque prendere parte ai Campionati Nazionali Assoluti”.
Il carattere discriminatorio delle norme sopraelencate è evidente per vari motivi, immediati e mediati.
Innanzitutto, è inconcepibile un linguaggio che ancora distingua tra italiani e non, senza nemmeno far riferimento alla categoria dei “comunitari”.
Inoltre, il carattere discriminatorio viene evidenziato dalla più assoluta mancanza di riferimenti a qualsivoglia motivo possa stare alla base di tale normativa.
Per meglio spiegarci, non siamo nell’ambito di un nuovo ingresso di un atleta straniero che svolga un’attività a titolo professionistico o comunque retribuita, previsto dall’art. 27 comma T.U. Immigrazione, per i quali è previsto un numero massimo di atleti tesserabili per ciascuna federazione.
Poi, tali norme non sono in alcun modo giustificate dalla “teoria” della salvaguardia dei vivai nostrani (fantasioso e fantomatico totem, per quanto ci riguarda, come già scritto in precedenti articoli) in quanto la bimba in questione, di tali vivai, è parte. Sempreché con il termine vivai italiani non si voglia intendere “vivai di italiani” nel qual caso non c’è miglior risposta di quella data dal giudice di Lodi nell’ordinanza del 13 maggio 2010 e più precisamente lo stesso, semplicemente, rileva come il riferimento alla “tutela dei vivai nostrani” porti già in sé una preferenza per gli atleti italiani e ciò “in aperto spregio a tutte le norme nazionali ed internazionali (…) che impongono il rispetto dell’indefettibile principio di parità di trattamento cui si informano le odierne società civili. In particolare appare violata la Raccomandazione n. 20 “On hate speech” (1997) sopra citata, giacché la dedotta “tutela dei vivai nostrani” concreta un sostanziale fenomeno di etnocentrismo, modello sociale eticamente inaccettabile come statuito anche dalla Raccomandazione poc’anzi citata”.
Infine, le norme del Regolamento Organico FIN richiamate nulla offrono nella necessaria lotta alle odiose pratiche di trafficking a danni di minori e ciò per la palese evidenza che non fanno alcuna differenziazione tra soggetti nati in Italia e sempre qui tesserati o provenienti da federazioni estere.
Le norme in questione sono discriminatorie e, semplicemente, non possiamo permettere che stiano a galla.