Nella cornice di G.A.S.P. (Gagliarde Autoproduzioni Sherwood Padova) il 27 giugno a Sherwood Festival, si è tenuta la presentazione del fumetto Socrates, di Marco Gnaccolini e Cosimo Miorelli, edito da Becco Giallo, insieme all’autore Marco.
Partiamo subito con la prima domanda. Socrates è uno dei fumetti graficamente, e anche a livello della sceneggiatura (curata da Marco), più potenti prodotti da Becco Giallo, che solitamente pubblica opere più politiche. Questo fumetto parla sì di politica, perché il calcio è argomento politico, ma soprattutto dell’amore per questo sport. Da sceneggiatore, lavorando su un personaggio su cui si è detto così tanto, quanto è difficile scegliere cosa raccontare, com’è possibile far vedere la propria idea rendendola appetibile ai lettori?
La vita di Socrates è difficilissima da contenere in un solo libro, come anche in una sola serata. Sembra una vita che ne contiene cinque o sei. Socrates è ricordato come calciatore, capitano del Brasile, ma non solo. Era anche medico, laureato in pediatria. Decise di studiare medicina perché nacque con un piede più piccolo rispetto alla sua statura, e si avvicinò alla medicina anche per questa sua anomalia. Fu anche filosofo, portò il pensiero nel mondo del calcio, in cui prima o eri calciatore, o eri intellettuale e quindi non frequentavi i campi da gioco. Per ultimo, era fumatore, bevitore, amante dei piaceri della vita, il che lo rende molto vicino a noi. C’è una complessità nella sua vita, che lo rende irraggiungibile da un lato, molto vicino dall’altro. Ed è stata questa la scintilla che ci ha colpito, e credo possa colpire tutti quelli che si avvicinano alla storia di un personaggio come lui. Il suo più grande aspetto dell’anima è stato quello di essere un rivoluzionario. Non se ne sono visti così tanti, nel campo da calcio, che portarono un’idea politica. Sono temi che ancora toccano i nostri paradigmi sociali. All’interno di uno sport che è diventato molto mercato, Socrates è riuscito ad intercettare e creare un’idea di calcio come strumento di lotta e di libertà.
Oggi si cerca di riportare un certo grado di politica nel mondo del calcio, ad esempio sulla questione dei calciatori che si inginocchiano, sullo stadio di Monaco che poteva o non poteva essere illuminato di luci arcobaleno, su Budapest, dove stanno requisendo le bandiere LGBTQ+ (l’intervista è stata fatto il 27 giugno, in pieni Europei). Cos’è stato l’impatto politico di Socrates quando era in Brasile, e com’era il Brasile di quegli anni?
Racconto quello che a me ha colpito. Socrates era una persona che teneva più al gesto estetico dell’espressività del calcio più di qualsiasi altra cosa. Non lo ricordiamo per le sue vittorie, non è un Michael Jordan del calcio. Ma è proprio grazie alla sua voglia di espressività e di artisticità nel gioco che viene ricordato. Non ha vinto tanto, se non con la Democrazia Corinthiana. Siamo negli anni ’81-’82, Socrates è già un fenomeno del calcio brasiliano, è un capocannoniere di San Paolo, e viene corteggiato dalle due grandi squadre di calcio di San Paolo, il Santos e il Corinthias. Lui sceglie il Corinthias, ovvero la squadra creata dal popolo per il popolo, che non vince da moltissimi anni, al contrario del Santos, che è tra l’altro la squadra per cui tifa Socrates. Lui si inserisce in questo ambiente, che nasce nel 1904 da quattro emigrati italiani. Tuttora si ricorda il lampione nel quartiere operaio di San Paolo sotto cui nacque questa squadra, grazie ad una colletta per comprare un pallone.
Si inserisce in questo sistema e diventa il rinnovatore, di questo spirito, di una squadra del popolo. Nel 1964 il Brasile subisce un colpo di Stato da parte dei militari, che guidati dalla CIA entrano a Rio de Janeiro e istituiscono dal ’64 all’81 una dittatura militare che noi non ricordiamo spesso. Ricordiamo bene quella argentina, ma la dittatura militare brasiliana è stata altrettanto feroce e altrettanto lesiva dei diritti sociali, di torture, di abolizione di ogni libertà di pensiero e di voto. Socrates arriva con una pressione sociale enorme. Il popolo è molto stanco di una situazione così incomprensibile; lui decide con altri quattro compagni, chiamati i Quattro Rossi, di istituire un processo democratico all’interno della squadra. Iniziano a capire che gli sport di squadra, che è la rappresentazione di un popolo all’interno di un contesto spazio-tempo determinato (in questo caso 90 minuti di partita in un determinato campo da gioco), possono dare un esempio alla società. Decidono di istituire un sistema democratico in cui il voto di tutti, dal suo che era capitano a quello del magazziniere, vale uguale. Decidevano tutto insieme, dai ritiri, alle partite, mettendolo ai voti. È stata una sfida ma anche una rivoluzione. Rappresenta un’utopia, come tutti i sistemi politici e filosofici. Effettivamente è durata pochissimo, come tutte le utopie, ma ha permesso al Corinthias di vincere gli scudetti, e di aprire alla possibilità da parte dei brasiliani di poter votare direttamente un presidente. Questa scommessa però fallì, e costrinse Socrates a venire in Italia.
Parliamo dell’esperienza italiana di Socrates. Come hai deciso di raccontarla?
In realtà nel fumetto l’abbiamo tagliata. Nell’84 scende a Firenze e quando esce dall’aereo gli viene chiesto dai giornalisti come mai si fosse ritrovato a giocare nella Fiorentina. Lui risponde di essere venuto in Italia per leggere Gramsci in lingua originale. Dura poco, questa esperienza, circa un anno in cui non influisce particolarmente (secondo la cronaca) nel gioco della squadra; una bellissima formula per raccontare Socrates in Italia è la sua nostalgia di casa, che molti della nostra generazione possono capire. In realtà la storia di Socrates l’abbiamo voluta raccontare con l’aspetto del perdente, come una storia di sconfitta, anche. Per chiudere il libro è stato fondamentale Mattia Ferri, editor di Becco Giallo, che ci ha aiutato a comprendere a pieno questa sfumatura. Chiudiamo quindi con una bellissima frase di Socrates: “Abbiamo perso, ma tutti quanti si ricorderanno come abbiamo danzato”. Mi sembra una metafora molto bella, sia nel campo sportivo che nel campo politico.
Becco Giallo ha scelto dal punto di vista promozionale di pubblicare il fumetto su Socrates e un fumetto su Socrate, il filosofo greco. Socrates si chiama così anche un po’ per omaggio al filosofo. Secondo te qual è, parlando di filosofia, il lascito nei confronti dello sport di Socrates?
Penso sempre ad una sua citazione: “Camminare e basta o tirare calci al pallone non serve a niente, ma camminare per andare verso il Parlamento e far valere le proprie idee può cambiare il mondo”. Un altro aspetto che lui riconobbe è la potenzialità del personaggio pubblico che si può fare capo delle istanze di chi non ha voce. Penso che questo sia un aspetto politico molto forte, nonostante sembra sia passato di moda, il parlare degli ultimi. Si può imparare da lui il fatto che sia possibile svincolarsi dal mercato anche nelle situazioni pubbliche, per poter effettivamente portare a galla i problemi degli ultimi.
Sulla Democrazia Corinthiana, qual è l’elemento imprescindibile di cui parlare?
Penso la crisi che ebbe con i tifosi, il fatto che fu osteggiato da loro. Veniva chiamato “comunista, alcolizzato, bidone del calcio”. Questa crisi l’ha fatto maturare fino a scegliere prima il camice della laurea in medicina o, poi, la maglia del calcio per poter essere un esempio.
Quali saranno i vostri prossimi lavori?
Siamo molto onorati di far parte del progetto Stigma, un nuovo gruppo di autori voluto da AkaB. Stiamo quindi lavorando ad un nuovo libro, che è molto simile all’esperienza di Socrates.