di Davide Drago

In Italia siamo fatti cosi: altalenanti nei pensieri e nelle affermazioni. Se parliamo di calcio, nonostante sia lo sport più seguito e praticato in Italia, ci lamentiamo della quantità di soldi che girano e di quanto sia vergognoso questo aspetto. Eppure, siamo lì, continuiamo a guardarlo e ad arricchire le casse delle società andando allo stadio, comprando magliette a prezzi esorbitanti e acquistando il merchandising all’ultima moda.

Quello che però “l’italiano medio” attacca, non è sistema il calcio e tutto quello che ci sta dietro, bensì la figura del calciatore, paragonandolo a chi fa i lavori più umili e contemporaneamente inorridendo di fronte ai grandi compensi che percepisce.

L’attacco ai calciatori arriva diretto, soprattutto quando non vincono! E si parte con la solita formula dell’atleta “ricco, stronzo, possibilmente ignorante, strapagato per scendere in campo in maglietta calzettoni e correre dietro a un pallone”.

Non parliamo di rabbia sociale, quanto di indignazione. La prima la si sfoga a pugni, bastonate fuori gli stadi o a cori razzisti all’interno. È indignazione, spesso manifestata attraverso i social. Emblematico è stato l’attacco a Mario Balotelli, dopo il Mondiale 2014, quando sui social comparvero una quantità di insulti spropositati: “se usciamo al primo turno non puoi andare a comandare con il macchinone, anche a te spetta un’autoflagellazione”, per citare tra i più leggeri. E nel caso di Balotelli la colpa era doppia, ossia essere nero e ricco. Ma l’invidia sociale colpisce tutti i calciatori, di qualsiasi censo, perché agli occhi di tutti si è ricchi e basta.

Il problema, lo abbiamo scritto più volte, non sono i calciatori in sé, ma l’intero sistema!

Lo "sport moderno” è del tutto estraneo ai valori che ostenta, ne è la negazione più assoluta. È sempre stata attribuita all’attività sportiva, in ogni epoca e soprattutto da ogni governo, un’importanza grandissima, per la buona ragione che “intrattiene” le masse.

Secondo il sociologo francese Patrick Vassort, lo sport sviluppa in massimo grado i due parametri più odiosi del sistema capitalista: una ricerca senza scrupoli del massimo profitto e un’ideologia fondata sul principio del super-uomo, della forza e della violenza. La sua invadente ed universale onnipresenza, è capace di colmare il vuoto normativo dei nostri giorni, con una “ideologia pansportiva”, dove lo sport è simulacro del contenuto dell’era del vuoto.

Sport e capitalismo sono indissolubilmente legati: verso il successo ad ogni costo. Lo sport moderno è nato e si è affermato in un contesto storico e sociale che premia la cultura del successo: ne deriva una visione dello sport che sacrifica l’elemento del gioco in favore del risultato, che va raggiunto a qualunque costo, anche e soprattutto per gli interessi economici ad esso legati.

Di contro, sappiamo bene, quanto anche lo sport mainstream abbia la capacità di sviluppare le relazioni sociali, di essere fattore di comprensione internazionale e strumento di pace.

Nel loro “piccolo” anche i calciatori cercando di impegnarsi nel sociale. Sono tantissimi gli atleti che aderiscono a progetti di solidarietà o che quotidianamente si impegnano nel sociale. E qui scatta la psicologia inversa, il calciatore da brutto e cattivo diventa un eroe dei nostri giorni.

Proprio in questi giorni è balzata agli onori della cronaca la vicenda di una bambina di Minerbe. La piccola è stata costretta a mangiare, nella mensa della scuola, soltanto crackers e una scatoletta di tonno, perché i suoi genitori erano indietro con il pagamento della retta. La scelta sarebbe stata concordata tra i gestori della mensa e il Comune, di cui è sindaco il leghista Andrea Girardi, dopo inutili solleciti al pagamento verso la famiglia. È inutile giraci intorno, il sindaco, imitando il suo “capitano”, ha deciso di prendere questa scelta, impattante dal punto di vista d’immagine, anche per l’origine non italiana della famiglia della piccola.

Alle mancanze e alle scelte politiche delle istituzioni sono arrivati in soccorso gli amati-odiati calciatori e questa volta è stato Candreva a prendere la scena. Il calciatore non è nuovo a gesti di solidarietà, soprattutto nei confronti dei bambini. Candreva, in questo caso, ha telefonato direttamente al sindaco di Minerbe Andrea Girardi, si è fatto spiegare i dettagli della storia, e gli ha chiesto come muoversi per risolverla. Così, mentre le polemiche politiche montavano, il giocatore ha deciso di intervenire con un gesto semplice: pagare direttamente la retta della mensa per la bambina.

Ancora una volta, il calciatore ricco e odiato si è trasformato nell’uomo buono che risponde con i fatti al mondo della politica. Domani, probabilmente, tornerà ad essere lo stronzo ricco che guadagna un casino di soldi senza svegliarsi alle sei la mattina e tornare la sera a casa, dopo una dura giornata di lavoro.

Noi, invece, non cambieremo idee, continueremo in maniera coerente ad attaccare il “sistema calcio”, ad avere un occhio critico nei confronti di quello che accade dentro e fuori i campi da gioco, a raccontare i gesti di solidarietà senza farci ammaliare da essi, ma consapevoli del fatto che dal basso e con piccole cose si può iniziare a cambiare il gioco più bello del mondo e perché no, l’intera società.