di Davide Drago
Mezzo passo avanti e dieci indietro. Si, proprio cosi. Quando si parla di donne e sport non c’è neanche il tempo di gioire per una piccola conquista raggiunta che già bisogna fermarsi a denunciare un nuovo caso di sessismo.
Qualche giorno fa è arrivata la “buona” notizia che la Nike non penalizzerà più le atlete che attendono un bambino. Qualcuno potrà chiedersi: ma cosa c’entra la Nike con la maternità di una donna? Come abbiamo scritto e denunciato più volte la situazione del della donna nel mondo dello sport è tragica. Le donne italiane per legge sono di fatto ai margini per quanto riguarda lo sport: con la legge 91 del 1981 alle donne è impedito il professionismo sportivo. Questo vuol dire che indipendentemente dal loro livello tecnico e agonistico, e malgrado il fatto che lo sport sia per loro la prima fonte di reddito, le donne sono definite ‘dilettanti’. Ciò implica che nessuna atleta può godere di alcuna tutela occupazionale, previdenziale e di protezione in caso di maternità, nonostante le atlete donne siano parte integrante del sistema economico del nostro Paese, in un settore che produce circa il 3% del Pil.
Una donna per poter fare sport a livello competitivo è quindi costretta a cercare finanziamenti in maniera “alternativa” tramite sponsor privati o contratti con clausole alquanto fantasiose. Giusto o sbagliato, non è questo il momento per analizzare queste scelte, molte donne sportive affidano la propria immagine e il proprio abbigliamento sportivo a grandi multinazionali. Fino ad oggi anche quest’ultime hanno trattato la donna in maniera discriminante.
Fino a pochi giorni fa la Nike penalizzava le atlete che attendevano un bambino, tagliando le somme a loro versate come sponsor a causa, a detta loro, delle ridotte prestazioni fisiche.
La britannica Jo Pavey e le americane Alysa Montano e Kara Goucher hanno vinto la loro battaglia, costringendo il colosso dell’abbigliamento e degli accessori sportivi ad ammettere di avere sbagliato discriminando le donne nella formulazione dei contratti di sponsorizzazione.
Nike ha ora garantito alle atlete che aspettano un bambino 12 mesi di tempo nei quali i compensi non diminuiranno, ma si è già detta disposta ad aumentare questo lasso di tempo oltre l’anno. “Vogliamo fare di più”, ha detto un portavoce, ammettendo di fatto che c’è ancora molto da fare.
nella foto Kara Goucher
Neanche il tempo di festeggiare questa “piccolissima” vittoria da parte delle atlete e di chi ha a cuore il mondo dello sport femminile, che arriva immediatamente un’ulteriore “mazzata”.
L'ennesima incivile e vergognosa pagina buia del calcio dilettantistico arriva da Mestre. Nel corso della gara tra i giovanissimi del Treporti e della Miranese, un arbitro donna ha dovuto subire offese sessiste dalla tribuna per tutto il match e in più la provocazione di un 14enne che si è abbassato i pantaloncini in campo e l'ha sfidata ad espellerlo oppure a effettuare pratiche sessuali con lui. Come riporta il Gazzettino, la ragazza è assistita psicologicamente e aiutata a superare il difficile momento dalla sezione Aia di Venezia, mentre la vicenda è finita sul tavolo del giudice sportivo e alla Federcalcio, che ha inviato al Giudice Regionale gli atti per provvedimenti contro il ragazzino.
La giovane donna arbitro ha cominciato a subire offese sin dal fischio d'inizio, quando una ventina di genitori del Treporti ha cominciato a offenderla invitandola a dedicarsi al mestiere più antico del mondo piuttosto che calcare i campi da gioco. Ancora una volta sono dei genitori, quelli che dovrebbero educare i loro figli, a dimostrarsi irrispettosi e “violenti” nei confronti in questo caso di un arbitro donna, ma in altre occasioni di ragazzini delle squadre avversarie, o giovani stranieri.
Dopo la sfuriata del telecronista Sergio Vessicchio, a cui non è andata giù la presenza di un assistente arbitro donna, ancora una volta un arbitro donna è stata vittima di un sessismo ottuso che regna nel nostro paese.
Oltre agli insulti provenienti dagli spalti, l’apice si è toccato quando la 22enne arbitro ha assegnato un calcio d’angolo; a quel punto un ragazzino di appena 14 anni si è abbassato i pantaloncini, sfidandola a espellerlo con epiteti coloriti.
In un mondo come quello dello sport, in cui la donna fa sempre più fatica a trovare la giusta posizione che merita, nonostante gli ottimi risultati sportivi, è fondamentale che a tutti i livelli si faccia una mea culpa su frasi utilizzate, comportamenti e anche scelte politiche che vengono quotidianamente prese. Il cambiamento deve come sempre partire dalla base, ma anche ai piani più “alti”, che siano istituzionali o di grandi aziende di sponsor, deve esserci il giusto rispetto per la donna nel mondo dello sport.