Ci sono successi che, più di altri, rimarranno per sempre indelebili nelle menti e nei cuori di un popolo, spesso di un continente e in alcuni casi dell'intero mondo sportivo. Si tratta di momenti rari, spesso unici. Momenti che, mentre li stai vivendo, sai che con grandissima probabilità non si ripeteranno più nell'arco della tua vita.
Senza spaziare troppo nelle cronache sportive in generale e soffermandoci solamente sul mondo del calcio, possiamo contare vari casi di trionfi inattesi, magici, di quelli che anche solo averli sognati sarebbe stato proibitivo.
È questo, ad esempio, il recente caso in Premier League del Leicester di Ranieri che nel 2015 vinse il campionato inglese. Nel nostro territorio un'impresa simile l'ha compiuta l'Hellas Verona che vinse lo scudetto nel 1985. A livello nazionale sorti simili sono toccate alla Grecia nel 2004, che vinse il campionato europeo battendo in finale il Portogallo. Scavando nella storia tutti ricordano l'incredibile mondiale del 1950 vinto dall'Uruguay che riuscì a battere il Brasile nella partita tutt'ora ricordata col nome di Maracanazo.
Ricordare queste imprese storiche è sempre affascinante e stimolante, ci fa pensare che nulla è impossibile, che in un campo di calcio la palla è rotonda per tutti, e che non esistono traguardi irraggiungibili. Per questo motivo la dedica di oggi è destinata ad una delle compagini che ha scritto una pagina di questo incredibile e quasi inverosimile libro di sport, la Danimarca.
Siamo in Svezia, campionati europei di calcio del 1992. Ma per raccontare questa storia bisogna iniziare altrove. Il periodo storico nell'Europa sud orientale è drammatico. La grande potenza jugoslava stava vivendo uno dei momenti più tristi e indelebili della sua storia, una sanguinosa guerra civile sta dividendo il paese a livello etnico, politico e religioso. Per questo motivo la nazionale di calcio jugoslava, qualificata all'Europeo di Svezia, dovette dare forfait in favore della seconda classificata del suo girone di qualificazione, la Danimarca di Richard Moller-Nielsen.
I danesi giunsero all'appuntamento in punta di piedi, senza fare rumore, sapendo che in quella competizione non avrebbero nemmeno dovuto esserci. Quasi per chiedere scusa, scelsero di dare parte degli introiti ottenuti dalla qualificazione ad un fondo benefico per la guerra in Jugoslavia.
Anche analizzando il livello più tecnico, la squadra danese arrivò all'Europeo senza una adeguata preparazione, indietro di settimane rispetto agli avversari. Senza contare che la stella della squadra Michael Laudrup decise di abbandonare poco prima la sua nazionale lasciando i compagni orfani di quel faro che avrebbe potuto dare una luce d'entusiasmo in campo e negli spogliatoi.
Non ci si deve però dimenticare che i danesi discendono dal popolo vichingo, nelle loro vene scorre il sangue di uno dei popoli più guerrieri e tenaci che la storia abbia mai visto, e se quel sangue, quello spirito e quella forza riescono a battere lo sconforto, i ragazzi in maglia rossa avrebbero potuto fare male a chiunque.
Il girone di qualificazione sembrò già proibitivo. Svezia, Inghilterra, Francia e Danimarca. Due tra le possibili vincitrici e gli organizzatori del torneo erano i primi avversari della Danimarca, eletta da tutti come squadra cuscinetto del suo gruppo, ma si intuì fin da subito che questo non sarebbe stato un Europeo ordinario. Le cosiddette squadre favorite non brillano, le star del momento sembrano opache e stanche. Ne conseguì che da questo girone salutarono anzitempo la competizione Inghilterra e Francia. Viste le sole 8 squadre partecipanti, superare i gironi voleva dire approdare direttamente in semifinale. Già, però in semifinale c'è l'Olanda. Giusto per chiarire: stiamo parlando dell'Olanda di Van Basten, Gullit, Rijkaard, Koeman, Bergkamp e de Boer. La squadra tecnicamente più esaltante d'Europa. I danesi sono chiaramente sopraffatti dal gioco degli Orange, ma quello spirito vichingo nel momento più importante uscì fuori. Non si capì realmente come, ma la Danimarca pareggiò quella partita 2-2, e ai calci di rigore venne salvata da un insuperabile Peter Schmichael. Se la semifinale sembrava proibitiva, la finale lo era nettamente di più. Una frase detta dall'ex calciatore inglese Gary Lineker passò alla storia per il suo impatto: “Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince.” Proprio così, perché i tedeschi, campioni uscenti del mondiale di due anni prima in Italia, erano quel tipo di squadra talmente solida e perfetta che non era possibile pensare ad una loro sconfitta in quel periodo. Solo una cosa avrebbe potuto non far alzare loro quel trofeo, fare l'unico errore che non avrebbero dovuto fare: sottovalutare l'avversario. Ecco perché la piccola e insignificante Danimarca era proprio il peggior avversario per la corazzata tedesca che tra l'altro per la prima volta giocava un Europeo come nazione unita. Il match sembrò uscire da un racconto di fantasia, proprio come quello che l'icona popolare danese Hans Andersen aveva scritto nel 1837, e che grazie ad una statua il suo popolo può ammirare sulle coste della loro splendida capitale. Germania affossata 2-0 e Danimarca sul tetto d'Europa.
D'ora in avanti il popolo vichingo, Hans Andersen e la sua Sirenetta poggiata su quella roccia di Copenaghen avranno un nuovo compagno tra le figure iconiche che rimarranno un simbolo della loro nazione: quella nazionale di calcio che per pura casualità venne invitata all'Europeo del 1992, e che alla fine, come nelle favole, conquistò il mondo.