di Nicola Sbetti

Il 25 novembre 2019, allo stadio Fratelli Campari di Bagnolo in Piano (provincia di Reggio Emilia) nel corso della partita fra la Bagnolese e l’Agazzanese, valida per il campionato di Eccellenza, al 27° minuto del primo tempo di gioco Omar Daffe, il portiere della squadra ospite, viene ripetutamente insultato con degli epiteti razzisti da uno spettatore. Invece di sopportare in silenzio come troppe volte ha fatto in passato, Omar Daffe decide che la misura è colma. Abbandona la propria porta e si reca verso la metà del campo all’altezza della linea laterale. Lì getta i guanti a terra e sconfortato abbandona il terreno di gioco.

“Prima di essere calciatori dilettanti siamo uomini”, ha dichiarato alle telecamere del tg3 locale. Del resto quando si sentono certi insulti che tendono a negare l’umanità stessa il gioco smette di essere gioco.

Poco importa che l’insulto razzista all’indirizzo dell’estremo difensore di origine senegalese della squadra piacentina sia forse stato una reazione a un precedente fallo di gioco avvenuto cinque minuti prima nei confronti del giocatore Zvetkov, che a detta dei giocatori della squadra di casa avrebbe dovuto portare all’espulsione di Daffe stesso; tanto più che l’arbitro non aveva preso nessun provvedimento. Lo spettatore (un 45enne modenese già individuato e sottoposto a Daspo) come ha ricostruito lo stesso Daffe, come chiaramente udito dai presenti e come confermato dalla ricostruzione del giudice sportivo, ha volutamente utilizzato un epiteto razzista, reiterandolo, invece di utilizzare un qualsiasi altro insulto. L’umana e più che comprensibile reazione di Omar Daffe è stata dunque una conseguenza dell’ennesimo insulto razzista ricevuto, l’ultimo di una lunga serie, visto che il portiere senegalese impedisce ai figli di venire a vederlo giocare proprio per proteggerli da questo tipo di violenza verbale che fino a domenica scorsa aveva sopportato senza reagire.

La notizia ha avuto una certa eco nazionale, che però si è limitata alla fase dell’indignazione e alla solidarietà a Daffe.

Prima però di analizzare le note amare, in questa vicenda non mancano le belle notizie.

Daffe non è il primo calciatore che di fronte a un insulto razzista decide di abbandonare il campo, ma dopo il tentativo fatto dai compagni di squadra per cercare di convincerlo a restare in campo, sono stati i compagni di squadra a seguire Omar Daffe e a lasciare il campo con lui in segno di solidarietà. Due gesti grandissimi: in primis quello di Daffe di portare fino in fondo una protesta e poi quello dei compagni che guidati dal loro capitano Alessandro Moltini hanno deciso convintamente di seguirlo. Bella anche la solidarietà espressa dai giocatori dai giocatori della Bagnolese (del resto anche loro hanno avuto la giornata rovinata da uno spettatore razzista). Omar Daffe nella sua intervista post-partita ci ha tenuto a ringraziarli. Certo nel mio mondo ideale anche i giocatori della Bagnolese avrebbe dovuto abbandonare il terreno di gioco, ma possiamo accontentarci delle dichiarazioni del suo allenatore Claudio Gallicchio che al Resto del Carlino ha detto: «Sono cose a dir poco spiacevoli, ci dissociamo e condanniamo ogni frase razzista. Una cosa così non mi è mai capitata, ovviamente, e siamo spiazzati a nostra volta. Noi eravamo disposti anche a riprendere undici contro undici».

Anche il fatto che il responsabile dell’insulto razzista fosse uno solo è una buona notizia. In quanto rende ancora più esplicita l’inefficacia della responsabilità oggettiva. Una società non può essere responsabile del comportamento dei propri tifosi. Una società può e deve far di tutto affinché non ci siano episodi di razzismo, attraverso la propria comunicazione e le dichiarazioni dei propri tesserati, attraverso appositi cartelli nello stadio e educando stewart e pubblico a fare la propria parte… ma poi la responsabilità resta individuale. Deve sparire l’idea (che poi è anche una grande giustificazione, che tende a legittimare il razzismo) per cui gli insulti e gli ululati razzisti sono funzionali a sostenere la propria squadra. No. Se li fai è giusto che ne paghi le conseguenze individualmente.

 

 

Finite le buone notizie arriviamo al teatrino dell’assurdo.

Sorvoliamo per pietà sulle parole del Presidente della Bagnolese che dopo aver dichiarato sempre al Carlino: «Ci dissociamo dalle frasi razziste e ci siamo scusati con la società ospite e con Daffe. Bagnolo in Piano è un paese civile con tantissime nazionalità presenti. Noi, del resto, abbiamo due giocatori di colore, un marocchino e un brasiliano, e non vogliamo passare per una società razzista, perché non lo siamo» avrebbe sentito la necessità di affermare al Tg Reggio “noi ai nostri giocatori extracomunitari diciamo di far finta di niente”. Concentriamoci invece sulle decisioni delle istituzioni sportive.

Non sono in possesso del referto arbitrale ma secondo le ricostruzioni giornalistiche e quella del giudice sportivo l’arbitro, il bolognese Andrea Paccagnella era a conoscenza del fatto che la reazione di Daffe fosse dovuta ad insulti razzisti. Eppure nel momento in cui il giocatore è uscito dal campo l’arbitro applicando rigidamente il regolamento ha deciso di espellere il giocatore reo di aver abbandonato il terreno di gioco. Al contrario di quanto successo in occasione di Verona – Brescia, quando l’arbitro dopo aver inizialmente ammonito Balotelli per aver preso il pallone con le mani ed averlo scagliato contro il settore dello stadio da cui provenivano ululati ed insulti razzisti, tolse la sanzione dal referto, Paccagnella ha deciso di mantenere la sanzione nel referto. L’insulto razzista rilevato anche dal giudice sportivo non è bastato per suggerire un’applicazione del regolamento che non fosse asettica ma tenesse conto del contesto.

L’eccessiva fiscalità dell’arbitro però poteva essere sanata dal giudice sportivo, ma così non è stato. Sorprendendo non poco Francesco Ghidini, il direttore generale dell’Agazzanese, il quale attendeva “con serenità la decisione del giudice federale”, quest’ultimo ha deciso di: “di infliggere alla società Agazzanese la punizione sportiva della perdita della gara con il seguente risultato: BAGNOLESE – AGAZZANESE 3 – 0” e di “penalizzare di un punto in classifica la Soc. Agazzanese”.

Ora considerando la responsabilità oggettiva con lo stesso aggettivo con cui Fantozzi descriveva la corazzata Potëmkin non voglio nemmeno commentare l’arzigogolata decisione del Giudice Sportivo nei confronti della Bagnolese perché non è questo il punto. A fini di cronaca la riporto comunque: “Ai sensi dell’art.28 comma 4) C.G.S. si commina alla società Bagnolese la sanzione di cui all’art. 8 comma 1 lett. d) C.G.S, poiché propri sostenitori nel corso della partita rivolgevano espressioni offensive per motivi di discriminazione razziale nei confronti di un giocatore avversario. In applicazione dell’art. 28 comma 7 C.G.S questo Giudice Sportivo, tuttavia, sospende l’esecuzione di tale sanzione e sottopone nel contempo la società Bagnolese ad un periodo di prova della durata di un anno”.

La questione è molto semplice. Innanzitutto il calcio italiano in tutte le sue componenti federali deve decidere se vuole veramente combattere il razzismo. Anche perché non è obbligatorio considerarlo una priorità. Esiste infatti una parte purtroppo non irrilevante della popolazione italiana che non lo ritiene una priorità. Ma se invece, come questa presidenza FIGC (senz’altro più adeguata della precedente in materia) afferma di voler fare, si è deciso giustamente che nel mondo del calcio italiano il razzismo non è accettato e accettabile il caso Omar Daffe non può passare in cavalleria.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano non si può squalificare un atleta che lascia il campo in protesta contro un’offesa razzista.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano non si può dare partita persa 3-0 a tavolino se una squadra sostiene il proprio compagno e abbandona il campo dopo che questo è stato ripetutamente raggiunto da offese razziste.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano, dopo aver dato sconfitta a tavolino a una squadra per aver sostenuto il proprio compagno che aveva abbandonato il campo dopo aver subito ripetute offese razziste, non la si può penalizzare di un punto.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano non si può interpretare il regolamento in maniera asettica senza tenere conto del contesto.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano gli arbitri devono essere preparati a farlo e vanno difesi e protetti.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano i calciatori di serie A devono essere i primi a emulare Omar Daffe, ma in prima linea non dovrebbero esserci i calciatori neri regolarmente vittime di razzismo, ma i compagni e ancor più gli avversari.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano i vertici federali dovrebbero esprimere solidarietà a Daffe e all’Agazzanese.

Se si vuole veramente combattere il razzismo nel calcio italiano basterebbe ribaltare in appello questa sentenza!

Se la sentenza non verrà ribaltata in appello vorrà dire che chi protesterà contro il razzismo rischia di essere squalificato e penalizzato, ma vorrà soprattutto dire che in fin dei conti siamo sì contro il razzismo, ma solo perché ce lo chiede la UEFA… respect!