Quante volte ci siamo sentiti dire dalle persone o dalle televisioni “il talento non basta!”. Questa frase senza dubbio racchiude in sè stessa molteplici periodi subordinati possibili, come ad esempio sottintendere che è necessario dover faticare, oppure che a volte occorre anche fortuna, o ancora, che serve tenacia e perseveranza. Per l'ex calciatore Alì Dia, però, questa affermazione ha preso un significato del tutto diverso, ovvero: se il talento non basta, cambiamo le regole.
Proprio così, perché il racconto che sta per essere narrato è la storia di una vera e propria truffa. Una truffa attuata in modo folle, quasi surreale, e che grazie a circostanze fortunose ha avuto un insperato successo.
Ali Dia nasce a Dakar, in Senegal, nel 1965. Già quando era molto giovane si trasferisce in Francia dove inizierà a giocare a pallone. Come molti ragazzini della sua età si innamora del calcio, e fin da giovanissimo milita di club in club in cerca di avventure e gloria. Gioca in Germania, in Finlandia, in Inghilterra e in altri Paesi europei, ma senza mai trovare il successo a cui ambiva. Gioca per anni a livello provinciale e regionale, insomma, intraprende una carriera modesta e dignitosa, come quella di milioni di ragazzi con la passione e la dedizione per questo sport.
Ma l'ambizione di Ali era grande, decisamente più grande del suo talento. Quindi, se le capacità tecniche non erano sufficienti, nessun problema, il ragazzo aveva un'altra via da percorrere.
Nel 1996, all'età di 31 anni, Ali decise che se la sua carriera avrebbe dovuto avere una svolta, allora questo era il momento di farla arrivare. Ma in che modo? La trovata del ragazzo senegalese fu spregiudicata e folle, ma servì a regalargli uno dei sogni più grandi a cui un calciatore possa ambire. Con l'aiuto di un amico di università, evidentemente bravo ad imitare le voci delle persone, si procurò in qualche modo alcuni contatti di vari esponenti di spicco del calcio inglese. E per “calcio inglese” stiamo intendendo la sua massima divisione: la Premier League!
L'amico di Ali si finse George Weah, l'ex talento liberiano destinato a diventare una leggenda del calcio, e cercò di convincere i suoi interlocutori di avere da proporre come innesto un suo cugino senegalese, di ruolo attaccante, che veniva considerato un portento con la sua nazionale ma che non era riuscito a fare fortuna in Europa.
Al primo tentativo Harry Redknapp, allenatore del West Ham, fiutando la truffa rifiutò l'offerta. I ragazzi non si scoraggiarono e alla seconda telefonata Graeme Souness, ct del Southampton, cade con entrambi i piedi nella trappola di Ali, crede alla storia del finto Weah e, incentivato dal profumo del “parametro zero”, fa firmare un contratto al decantato nuovo talento senegalese.
Ce l'aveva fatta! Ali Dia era riuscito a farsi tesserare da un club di Premier League, ma la vetta del successo doveva ancora arrivare.
I compagni di squadra fecero in tempo a vederlo giocare in un solo allenamento prima della partita di campionato successiva, rimanendo alquanto colpiti. L'amichevole tra riserve che si sarebbe dovuta disputare contro l'Arsenal per testare i nuovi talenti emergenti venne annullata a causa del maltempo, e fu così che Ali, aiutato dal meteo e dalla fortuna, venne convocato per la partita ufficiale casalinga del 3 novembre 1996 contro il Leeds Utd. Il fato tuttavia non aveva ancora esaurito il suo lavoro, e scelse di baciare ancora una volta la sorte del ragazzo. Al minuto 32 Matthew Le Tissier, centrocampista dei Saints, si infortuna ed è costretto ad abbandonare il campo. Souness si gira verso la panchina e senza pensarci troppo sceglie il misterioso talento africano, senza immaginare che da quel momento avrebbe regalato ai tifosi del The Dell uno spettacolo raccapricciante e ai limiti dell'assurdo! Maglia numero 33, fisico prestante ed espressione convincente. Bastarono pochi minuti per capire che il ragazzo appena sceso in campo, con il calcio ad alti livelli aveva davvero poco a che fare.
Un suo compagno rilasciò tempo dopo un intervista in cui, parlando di lui, disse: “correva qua e là per il campo come Bambi sul ghiaccio; fu imbarazzante da vedere!”. Rimase sul rettangolo di gioco per 53 minuti senza trovare quasi mai il pallone, poi venne sostituito da un infuriato Souness.
Il giorno seguente il suo contratto fu rescisso senza remore e Ali tornò sui campi di provincia, decisamente più adatti al suo mediocre talento. Giocò a calcio ancora un anno in Inghilterra e poi scelse di intraprendere la carriera universitaria, accettando di tornare a vivere con i piedi per terra.
Qualche anno più tardi il Times lo posizionò al primo posto nella classifica dei peggiori calciatori di sempre.
Un racconto di truffe e bugie, è vero. Ma anche un racconto che, in una certa misura, fa sorridere. Perché quando sentiamo queste storie che starebbero bene giusto nelle trame di un film comico, in fondo siamo contenti e divertiti. E allora, anche se (come il pubblico di Southampton ha spesso ricordato con un noto coro) “Ali Dia is a Liar”, bisogna comunque rendere omaggio ad un uomo che ha fatto qualcosa che nessun altro era stato in grado di fare o anche solo di pensare. Ali ha coronato un sogno che non scorderà mai, né lui e né le migliaia di persone che lo hanno visto zampettare per il campo in quegli storici 53 minuti di follia e imbarazzo.
Giù il cappello, signori, per uno degli antieroi del calcio più incisivi che si siano mai visti!