Lo sport, in quanto espressione dello Spirito olimpico, quello spirito descritto sulla Carta Olimpica del 1908 votato al fair play, al rispetto per l'avversario e per la competizione stessa, alla giustizia sportiva, all'onestà e al miglioramento personale, è qualcosa che noi tutti amanti del tema adoriamo e ricerchiamo. Quello che invece non vorremmo mai vedere è l'altra faccia dello sport, quella oscura che ha interessi d'altro genere, quella che rovina tutta la bellezza che una competizione sportiva, qualunque essa sia, è in grado di offrire.

Ci sono storie sportive che parlano di sport, e poi ci sono storie che parlano di sport ma che di sportivo non hanno proprio nulla. Quella accaduta il giorno 25 luglio 1980 alle Olimpiadi di Mosca fa senza alcun dubbio parte di questa seconda categoria.

L'evento in programma quel giorno è la finale olimpica di salto triplo, una delle specialità dell'atletica leggera. La gara prevedeva la partecipazione di 12 atleti, ma fin da subito era abbastanza delineata la lista dei possibili vincitori che si sarebbero con ogni probabilità spartiti i vari gradini del podio.

Il favorito d'eccellenza era un brasiliano, Joao Carlos de Oliveira, detto “do Pulo”. Detentore del recordo mondiale ottenuto 5 anni prima di 17,89m. Il suo rivale principale, nonché idolo della folla sovietica, era Viktor Saneyev detto “il Canguro”, in cerca della sua quarta medaglia d'oro olimpica. Tra le figure di spicco un altro atleta sovietico ma di nascita estone, Jaak Uudmae. Infine il sempre presente outsider della situazione, l'australiano Ian Campbell, si era distinto per aver mostrato i risultati migliori nelle qualificazioni valevoli per questa finale, nonostante il suo palmares precedente non brillasse di grandi risultati.

La prima fase della gara parla già chiaro: i quattro rivali saltano meglio di tutti gli altri e dimostrano di rispettare i pronostici che tutti si aspettavano. Ma il momento decisivo della competizione, quello che ha portato questa finale sotto gli occhi del mondo intero, sarebbe arrivato nella fase conclusiva della gara, quella dei salti decisivi.

Uudmae inizia in testa, il suo salto rimane su livelli alti ma non sbalorditivi. Poi è il momento di Joao do Pulo. Il brasiliano salta, ma quel balzo sembrava più uno slancio verso il cielo, sembrava che da un momento all'altro l'atleta avesse potuto liberare le ali nascoste e spiccare il volo. Pubblico e avversari erano allibiti, terrorizzati, impietriti. Quel salto ha superato il limite fino ad allora mai valicato dei 18 metri, suscitando lo stupore di chiunque nell'arena, ma la sorpresa più grande arriva adesso.

Bandierina rossa alzata. Salto annullato! Joao è incredulo, la linea bianca di demarcazione non era stata toccata, e allora che era successo? L'arbitro di gara ha giudicato illecito il salto perché si era appellato alla norma, oggi fortunatamente sparita dal regolamento vigente, della Sleeping Leg. Per farla breve, l'atleta durante il secondo balzo ha sfiorato il terreno con la punta della suola. Questo cavillo regolamentare non era quasi mai stato applicato nella storia di questo sport, tanto che quasi nessuno tra i presenti era a conoscenza della norma. Che ci fosse qualcosa di strano era fin troppo chiaro.

È il momento di Ian Campbell, salto che supera i 17,50 metri e che gli avrebbe concesso il secondo posto dietro a Uudmae, nonché il miglior risultato personale per l'australiano. Ma, ancora una volta la bandierina rossa si alzò e il salto venne annullato. Stessa scena pietosa del turno precedente. Quando Campbell chiese spiegazioni, l'arbitro della gara si limitò a “fare spalluccie” senza dire una parola. Di questo scempio sportivo approfittò chiaramente il beniamino del pubblico Saneyev che, spinto da una folla in delirio, agguantò il secondo posto dietro all'altro sovietico Uudmae, molto meno considerato dal pubblico vista la sua origine estone, e quindi sovietico solo per metà.

La gara si concluse come avrebbe dovuto concludersi. Non perché lo sport aveva deciso così, ma perché qualche altra forza contraria, spesso più potente dello spirito sportivo, aveva voluto che le cose andassero in questo modo. Quando si pensa all'Unione Sovietica nel 1980, bisogna sempre fare i conti con la politica. Il mondo era ancora pienamente inserito nella Guerra Fredda, e l'Urss era una delle superpotenze che, giorno dopo giorno, si battevano per il prestigio e la supremazia sotto ogni punto di vista possibile, anche quello sportivo. Dopo il già annunciato sabotaggio dell'Olimpiade da parte di molte nazioni occidentali che hanno scelto di non partecipare alla competizione, e che hanno fatto passare alla storia questa come “l'Olimpiade dimezzata”, per le autorità sovietiche era necessaria una reazione. Basta considerare che tutti gli arbitri di quella finale, come di molte altre, erano sovietici, ammazzando perciò ogni parvenza di imparzialità.

Ora senza dubbio le dinamiche sono più chiare, ma peccano di prove concrete. Basta aspettare una dozzina di anni, quando alla paralimpiade di Barcellona '92, ci fu un incontro inaspettato e rivelatore. Tra i partecipanti a questa paralimpiade c'era anche Joao Carlos de Oliveira, che nel 1981 aveva perso una gamba a causa di un incidente d'auto. Si presentò a lui l'ex preparatore atletico della squadra sovietica del 1980 di Salto triplo che, probabilmente più alleggerito dalla disfatta dell'Unione Sovietica dell'anno precedente, si scusò col talento brasiliano, ammettendo la manipolazione da parte dei direttori di gara di quella finale.

La notizia fece scandalo, ma neanche troppo. La federazione brasiliana chiese una rivisitazione della classifica finale di quella competizione, ma davanti ai giudici sportivi il preparatore atletico russo si rimangiò vigliaccamente ogni parola. Forse lo fece per salvare la faccia del suo team, o forse per ordini derivanti dall'alto, questo probabilmente non lo sapremo mai. Rimane il fatto che il misero terzo posto di Joao do Pulo non venne mai modificato.

Facendo un altro balzo in avanti nel tempo, ben più lungo di quello degli atleti sovietici del 1980, giungiamo all'olimpiade di Sidney del 2000, dove una particolare intervista suscitò l'amarezza di molti. L'ormai ex atleta Viktor Saneyev, presente all'evento, venne fermato da giornalisti australiani che gli chiesero di commentare la famosa finale di vent'anni prima. L'uomo, con il sorriso tra le labbra e dopo aver fatto un beffeggiante occhiolino, rispose: “Quello fu uno strano pomeriggio”!