Il matrimonio tra sport e politica non ha mai funzionato, questo si sa. La storia ce lo ha detto ormai fin troppe volte, e se è vero che dalla storia si imparano gli errori, allora questa affermazione dovrebbe essere ben chiara a tutti da molto tempo.
Quando si parla di politica nel mondo dello sport, più nello specifico in quello del calcio, ci sono due diversi piani d'analisi su cui confrontarsi. Quello nazionale, scandito da alcune fedi politiche spesso strettamente correlate a quelle sportive, che si riversano perlopiù negli spalti degli stadi e che possono creare problemi d'ordine pubblico, indignazioni sociali e polemiche nei post partita; e poi c'è quello internazionale, quello nel quale scendono in campo squadre ben più potenti di quelle con undici uomini che indossano divise colorate. Squadre che si chiamano quasi sempre Governi nazionali e Fifa. In questo secondo caso la politica difficilmente si fonde allo sport, piuttosto tende a contrastarlo. O uno o l'altro. Non c'è spazio per lo sport dove ci sono forti tensioni politiche internazionali. Non è in questa sede che si vuole giudicare se questo sia un bene o un male, è tuttavia un dato di fatto che si può riscontrare in svariate occasioni nella storia.
A titolo d'esempio è interessante scoprire che cosa accadde nel 1973 durante le qualificazioni per i mondiali dell'anno successivo giocati in Germania e poi vinti proprio dai padroni di casa.
Per un particolare metodo organizzativo deciso dalla Fifa su cui non è il caso di dilungarsi, a concludere la cernita delle 16 squadre che avrebbero disputato la competizione ci sarebbe stato un match intercontinentale (andata-ritorno) tra una squadra europea della Uefa, e una sudamericana della Conmebol. A disputare questo incontro valido per un pass in Germania furono l'Unione Sovietica e il Cile. Ed è proprio nella terra latina delle Ande che la politica interviene con prepotenza in questa competizione sportiva, facendo uno sgambetto irregolare al proseguimento della competizione sportiva.
In Cile si è da poco concluso il golpe di stato appoggiato dai servizi segreti statunitensi che ha portato alla proclamazione del generale nazionalista Augusto Pinochet come nuovo presidente della nazione, ai danni del socialista Salvador Allende. Il colpo di stato, passato alla storia per la sua rilevanza politica a livello globale, è segnato da un ondata di violenza e brutalità di enormi proporzioni, e l'intero Paese cileno si ritrova immerso fino al collo in una vera e propria guerra civile.
La partita d'andata in Unione Sovietica finisce senza reti con i giocatori cileni che furono scortati per tutto il loro soggiorno sovietico al fine di evitare che qualcuno di questi tentasse di scappare dal proprio Paese per diventare un rifugiato politico. Tutto si dovrebbe decidere quindi nei successivi 90 minuti in Cile. Ma nell'autunno del 1973 andare in un Paese come quello, dilaniato da continui atti bellici, per giocare una partita di calcio, era fuori discussione. Tanto più se i ragazzi che dovrebbero andare a disputare quel match rappresentano la bandiera rossa dell'Unione Sovietica. Non va dimenticato che i primi anni '70 rappresentano il fulcro più acceso della Guerra Fredda.
Erano in atto torture ed uccisioni continue che stavano macchiando il paese di un rosso ben diverso da quello portato dall'effigie sovietica, il rosso del sangue dei dissidenti e avversari politici del nuovo governo. Inoltre, giusto per riempire il piatto della vergogna, lo stadio in cui si sarebbe dovuta giocare la partita era utilizzato dai militari golpisti come campo di tortura e concentramento.
È a questo punto che interviene l'altra squadra protagonista di cui si accennava all'inizio, la Fifa. Come è noto, ogni decisione calcistica a livello internazionale deve essere varata o perlomeno accettata dalla Fifa, il maggior organo calcistico internazionale. Ma che fare se “mamma Fifa” sceglie di chiudere entrambi gli occhi e di non vedere ciò che sta accadendo in Cile, forzando quindi le due compagini a disputare il match?
Il giorno 21 novembre, data prevista per questo incontro valido per la qualificazione al mondiale del 1974, la squadra dell'Unione Sovietica non potè andare a giocare la partita. Ma la scelta non fu di natura politica, non fu nemmeno una decisione dovuta ad un atto di protesta. I ragazzi non potevano andare a giocare perché con molte probabilità sarebbero stati catturati e probabilmente uccisi in quanto rappresentanti formali della mentalità sovietica.
A questo punto l'epilogo possibile è solo uno: questa partita non s'ha da fare, nonostante la decisione della Fifa, che quindi provvederà di conseguenza a come agire.
Ma siccome una pillola storica degna di Sport alla Rovescia non lascerebbe mai il lettore senza un colpo di scena conclusivo, è chiaro che le cose non sono andate così. Quella partita venne giocata, e quel che accadde ebbe del clamoroso!
Allo Stadio Nacional di Santiago de Cile, il giorno 21 novembre 1973, davanti ad una folla inesistente, fatta eccezione per la presenza inquietante del corpo militare, la squadra nazionale del Cile scese in campo senza la presenza di alcun avversario! Al fischio d'inizio i giocatori si passarono la palla per alcuni minuti, poi il capitano Paco Valdez si prende la responsabilità di depositare il pallone in rete per il gol che, di fatto, valse al Cile la qualificazione al mondiale di Germania.
Una partita quella tra Cile e nessuno, che venne organizzata dal neo presidente Pinochet per poter ottenere una visibilità politica al mondiale che stava per arrivare, potendo portare in questo modo scandaloso la sua squadra alla competizione.
Gli Dei del calcio, si sa, sono imprevedibili. Ma affronti di questa portata non possono essere accettati. Il Cile a quel mondiale ci andrà con una grande formazione, ma non riuscirà a vincere nemmeno un match, salutando la competizione al primo turno. Bisognerà aspettare il 1998 per vedere la nazionale cilena superare il primo turno di un campionato mondiale. Ma queste sono altre storie...