È sempre così. Il nocciolo del problema nel mondo dello sport non cambia mai. Il maggior oggetto di integrazione ed educazione a livello fisico e sociale finisce per essere strumentalizzato e fungere quindi da ponte per ottenere altri fini.
Senza alcun dubbio uno di questi fini è il potere politico e sociale che si può ottenere grazie alla vittoria di un ingente numero di atleti della propria federazione nazionale in competizioni di larghissima visibilità come i giochi olimpici.
Ma come fare per formare delle macchine atletiche in grado di vincere nel tempo un numero considerevole di medaglie? I metodi sono essenzialmente due: il primo impone sudore, dedizione e allenamento psicofisico tali da far diventare il soggetto il migliore al mondo in quello che fa; il secondo, più semplice da attuare e rapido da ottenere, si chiama doping.
La nostra storia parte dalla Germania dell'Est. Vincere e prevalere sui loro vicini della Germania Ovest, oltre che su tutto il mondo occidentale, non era un obiettivo da perseguire, era semplicemente un obbligo morale e politico da ottenere ad ogni costo.
Fu alla luce di questa folle considerazione che la Stasi (Ministero della Sicurezza tedesco) iniziò un percorso accurato di formazione di atleti che, in 20 anni di olimpiadi (dal 1968 al 1988) avrebbero vinto 499 medaglie, un numero faraonico per una nazione che contava circa 17mila abitanti.
La mente ideatrice di questa macchina collettiva da collezionamento di vittorie si chiama Manfred Ewald, dal 1963 posto a capo della sezione sportiva della Stasi. Quest'uomo avrebbe potuto diventare una sorta di santo sportivo per i risultati incredibili che riuscì ad ottenere, non fosse stato per il “come” li ha potuti ottenere.
Il processo di formazione atletica creato dal signor Ewald prevedeva intensi allenamenti giornalieri che finivano con l'ingerimento di una misteriosa pillola dal colore blu scuro. Senza sapere di cosa si trattasse, centinaia di atleti tedeschi prendevano questo farmaco chiamato Oral-Turinabol, rilasciato dalla casa farmaceutica Jenapharm, in modo sconsiderato e, cosa ben più grave, senza conoscerne indicazioni, effetti e prescrizioni corrette dei dosaggi.
Solo negli anni '90 venne riconosciuto il caso di “Doping di Stato” che ha truccato i risultati sportivi di moltissime competizioni e che ha completamente deformato le caratteristiche fisiche e psicologiche di centinaia di atleti. Quest'ultima evidenza fu tra le altre cose la causa del sospetto che portò poi alla scoperta dei gravissimi illeciti sportivi di una nazione che, ormai, non esisteva più.
Come scioccante esempio di questo terribile processo volto a creare degli inconsapevoli automi fatti di muscoli e steroidi, riportiamo il caso della atleta berlinese Heidi Krieger.
Heidi nasce a Berlino Est nel 1966, e all'età di 14 anni si iscrive alla Dynamo Sports Club and Boarding School, scuola controllata dalla Stasi che segnerà l'inizio della sua tragica vita sportiva. Heidi era una ragazzina fisicamente molto impostata, di stazza nettamente superiore a quella delle atlete della sua età. Seguendo insieme a molti altri atleti il programma di lavoro imposto, la giovane ottenne risultati eccellenti nelle discipline di Getto del Peso e Lancio del Disco. All'età di 17 anni ottenne ben due ori in queste discipline ai campionati europei juniores. Arriva l'anno seguente a vincere l'europeo di Atletica leggera a Stoccarda con un lancio di 21,10 metri che segna il suo record personale di Getto del Peso. È qui che inizia però la cosiddetta fase calante della sua carriera, e non si tratta di un calo ordinario, che prima o dopo capita a tutti coloro che praticano uno sport. Si tratta di una delle storie più agghiaccianti che il panorama sportivo abbia mai raccontato.
Già a Stoccarda Heidi Krieger era visibilmente ingrossata e squadrata nei dettagli del suo fisico, da lontano era difficile distinguerne il sesso. Ma negli anni successivi il farmaco che era indotta a prendere causò danni sempre maggiori. Iniziano a verificarsi vari infortuni di natura muscolare, le prestazioni calano vertiginosamente e solo nel 1987, all'età di 21 anni, Heidi Krieger disputa l'ultima competizione della sua carriera, chiudendo con un quarto posto ai mondiali di atletica. Nel 1991 l'atleta ufficializza il suo ritiro, e quando lo fa appare come una persona diversa, cambiata a livello fisico e ormonale, distrutta psicologicamente e in condizioni che le rendono impossibile una continuazione della propria carriera sportiva.
Ciò che appare sconcertante in tutta questa storia di vita di un atleta ha il suo culmine nel 1997, quando Heidi Krieger sostanzialmente smette di esistere. Ora ha cambiato nome, e lo stato tedesco le ha riconosciuto in modo ufficiale anche il cambio di sesso. Quello che un tempo era Heidi Krieger oggi si chiama Andreas Krieger, un uomo che fu obbligato a cambiare sesso a causa della bomba di steroidi e ormoni che un'associazione statale gli ha imposto per un suo percorso di crescita atletica. In un'intervista rilasciata, Andreas commenta così: “Hanno ucciso Heidi”, stando chiaramente ad indicare sottoforma di denuncia verbale i trattamenti da lei inconsciamente subiti, quando ancora era una Lei. Nel 2000 Manfred Ewald venne condannato per i fatti narrati, e Andreas potè portare a termine una battaglia legale durata molti anni.
La storia di Heidi è solo una delle tante. Forse la più sconcertante, ma non certo l'unica che meriterebbe d'essere ricordata. La Stasi non si è macchiata solo della compromissione di un grande numero di carriere sportive, ma anche della distruzione fisica e psicologica di moltissime persone che, quasi all'unisono, hanno denunciato i trattamenti ricevuti con forte rabbia e sconforto per una vita che sotto molti aspetti non tornerà mai ad essere “normale”.
Oggi i controlli sul doping sono ben più ferrei e attenti, e casi come quello della Germania Est non dovrebbero più ripetersi. O almeno questo è quello che ci auspichiamo.
Poi però leggiamo che l'intera Federazione russa non potrà partecipare a competizioni internazionali per denunce dovute alla somministrazione a livello nazionale di sostanze dopanti ai propri atleti. Sentiamo che ciò che accade per esempio in Cina riguardo al trattamento dei giovani atleti soprattutto in alcune discipline va a ledere molti dei diritti umani globalmente riconosciuti.
E allora è in quel momento che ci dovremmo rendere conto che il racconto di Heidi non è poi così distante dal mondo odierno, e che la strumentalizzazione dell'atleta e del suo fisico non è una storia del passato. È ben lontana dall'esserlo.