Il regolamento di uno sport è imprescindibile per la corretta riuscita dello sport stesso. Le norme possono mutare, certo, e gli atleti che lo praticano sono costretti imprescindibilmente a rispettarle. Nel calcio, se fai gol in fuorigioco, il gol non è valido. Nel rugby, se passi la palla ad un compagno davanti a te, il passaggio non è regolare.

Esistono casi però, in cui la consuetudine rischia di diventare una norma nella testa degli atleti, quando in realtà non lo è. Si tratta solo di una abitudine consolidata nel praticare una determinata disciplina in un certo modo. Spesso nessuno impone a livello normativo che un gesto debba essere fatto come tutti lo fanno, ma la forza dell'abitudine e la paura di essere fuori luogo porta quasi sempre l'atleta a non riflettere su metodi alternativi d'attuazione che non violino il regolamento sportivo.

“Se i Beatles non fossero mai esistiti, non esisterebbe la musica contemporanea!”

Partendo da questa frase, chiaramente da prendere estremamente alla leggera nel suo contenuto, si può ampliarne il senso ad altre centinaia di casi. Senza Copernico e Galileo, noi vivremmo in un pianeta posto al centro dell'universo; senza Cristoforo Colombo, a ovest dell'Europa ci sarebbe ancora l'Asia; senza Dick Fosbury, oggi il Salto in Alto sarebbe uno sport diverso.

Dobbiamo sempre essere grati ai cosiddetti “pionieri” della nostra storia, perché senza di loro forse saremmo ancora un passo indietro, o in questo specifico caso, con il corpo dritto.

Richard Douglas “Dick” Fosbury nasce a Portland nel 1947, e diventerà in piena regola uno dei cosiddetti pionieri della storia dello sport a soli 21 anni, in occasione dei giochi olimpici del 1968 in Messico. Una delle vetrine sportive più influenti della storia dello sport.

Come tutti gli innovatori di una determinata disciplina però, Fosbury prima di accantonare i metodi classici ci si è dovuto confrontare. All'età di 16 anni iniziò la sua carriera nel Salto in Alto, specialità dell'atletica leggera, dimostrando d'essere tutt'altro che portato. Le misure fatte registrare erano molto spesso quelle peggiori della sua squadra, tanto che in più occasioni il ragazzo pensò di cambiare obiettivi e dedicarsi ad altro. Quel gesto atletico, che se visto oggi parrebbe estremamente anti estetico, era per Dick un movimento innaturale. Così l'allenatore provò ad insegnare all'atleta anche la tecnica “a forbice”, molto usata ad inizio secolo ma poi accantonata per dei palesi deficit di centimetri se paragonata al salto frontale che accarezza l'asta con il ventre dell'atleta, quello che è appunto considerato il salto perfetto per i canoni degli anni '50. Ma nemmeno così il giovane Dick faceva progressi. Le possibilità per lui erano quindi poche: o abbandonare, oppure fare qualcosa di diverso, di alternativo, di strabiliante. È chiaro quale fu la sua scelta, no?

Nel 1968 Fosbury arrivò in Messico come partecipante alle Olimpiadi da perfetto sconosciuto. Aveva strappato l'ultimo pass disponibile per partecipare e su di lui non c'era alcun riflettore puntato. Ma il '68, si sa, non fu un anno come gli altri. E se qualcosa di straordinario doveva accadere, non poteva che succedere in questa occasione. Il suo modo di saltare istintivo, apparentemente scoordinato e soprattutto mai visto prima, iniziò a dare nell'occhio. I grandi campioni e i puristi di questo sport non presero bene l'idea di portare un salto “di schiena” ad una competizione olimpica. Sembrava quasi uno sbeffeggiamento, un insulto. Quando Dick tentò i primi salti ufficiali, tutti erano già pronti a stroncare sul nascere questa folle invenzione, questo salto storto, pericoloso, non affidabile e poco produttivo in termini di risultati.

È il giorno 20 ottobre 1968, e al Estadio Olimpico Universitario si tiene la finale olimpica di Salto in Alto. È questo il giorno che cambia per sempre la concezione di questo sport. Ad accompagnare i primi salti del 21enne americano si sentono solo risate, scherni e grida di disapprovazione verso uno spilungone con una fase preparatoria dondolante ed una performance da comicità scadente. Ottenuti i primi risultati positivi le risate si trasformano in silenzio e ammirazione. Poi, una volta raggiunte le misure raggiungibili solo dai campioni, il silenzio si trasformò in un tifo sfrenato.

Da essere l'ultimo dei pivellini, Dick Fosbury diventa in un pomeriggio l'idolo della folla, che ormai accoglie ogni atterraggio riuscito dello statunitense con boati e grida.

Quando l'asticella arriva a toccare i 2 metri e 24 centimetri, in gara rimangono solo due atleti, e uno di questi due è proprio quello spilungone scoordinato che salta in modo storto. Dopo due tentativi falliti da entrambi gli atleti, la gara si fa intensa e tesa. È il terzo salto quello in cui solo uno dei due giovani statunitensi riesce a piombare sul materassino senza far cadere l'asticella, e quello era proprio Dick, che in quel momento, mentre si appresta a ricevere una medaglia d'oro storica, sembra dire al mondo del Salto in Alto: “questo è il Fosbury Flop. Prendilo, miglioralo, e rendilo l'immagine che le generazioni future avranno in mente quando penseranno a questo sport”.

Ecco che quindi quella medaglia d'oro olimpica, facendo le dovute differenze, ha leggermente il sapore di Beatles, o quello di Copernico e Galileo, o quello di Cristoforo Colombo. Non certo una medaglia come le altre. Una medaglia che Fosbury, mostrandola al pubblico, probabilmente avrebbe dovuto girare al contrario. Perché, a volte, per ottenere l'obiettivo che ci sta davanti, è necessario voltarsi.