“Toby, tu per me sei il mio migliore amico. Saremo amici per sempre, non è vero? …. Red, quel tempo è finito. Ora sono un cane da caccia io.”
Red e Toby, Toby e Red. Due amici per la pelle, costretti ad odiarsi e a essere nemici a causa della loro natura. Uno è una volpe, l'altro un cane da caccia.
Divac e Petrovic, Petrovic e Divac. Due amici per la pelle, costretti ad odiarsi e a essere nemici a causa del luogo di nascita e d'appartenenza. Uno è slavo, l'altro anche, ma di etnìa croata.
La dedizione, l'allenamento e la cultura sportiva del popolo slavo non possono essere messi in discussione. Ce lo racconta la stora e il palmares di parecchie nazionali sportive della Jugoslavia. Da sempre lo stato balcanico si è reso fucina di talenti sportivi di ottima fattura, dal calcio alla pallanuoto, dal tennis alla pallavolo, fino ad arrivare soprattutto alla pallacanestro. Purtroppo però, le glorie sportive non sono bastate ad evitare una sanguinosa e terribile guerra civile che nel 1991 lacera col sangue questa gloriosa nazione, fino a spezzarla in più stati differenti. Da una parte una Jugoslavia che mantenne l'antico nome ma che di fatto comprende solo le attuali Serbia e Montenegro, dall'altra le ora indipendenti nazioni cattoliche di Croazia e Slovenia.
In questa nazione così prosperosa di grandi talenti destinati a vincere tanto perlomeno a livello sportivo, spiccano negli anni '60 le stelle di due nascituri a cui il destino ha riservato un grande futuro agonistico: Vlade Divac e Drazen Petrovic. Due ragazzi cresciuti assieme, due inseparabili amici che hanno condiviso le gioie e le agonie che le montagne russe dell'adolescenza portano ad ognuno di noi. Amici non solo nei campi da basket, dove entrambi hanno vestito per anni la stessa maglia blu della nazionale slava, ma anche e soprattutto nella vita di tutti i giorni.
Vlade Divac nasce a Prijepolje (attuale Serbia). Madre Natura gli ha concesso un fisico imponente ma prestante allo stesso tempo, dotato di grandi abilità tecniche. Con delle caratteristiche così si parte piuttosto avvantaggiati quando bisogna infilare una palla dentro ad un canestro, e Vlade ha saputo sfruttare questi vantaggi al meglio. Nel 1989, all'età di soli 21 anni, dopo alcune stagioni con la maglia del Partizan di Belgrado, viene chiamato nella tanto agognata Nba, dove diventerà nel giro di pochi anni una delle icone dei Los Angeles Lakers di capitan Magic Johnson.
Drazen Petrovic nasce a Sebenico (attuale Croazia). A differenza dell'amico, Drazen non supera i due metri d'altezza e non ha una muscolatura marmorea e tonica. Ha però un altra splendida caratteristica, ovvero un talento sopraffino, magico, quasi imbarazzante. Un talento che gli valse il soprannome di “Mozart dei Canestri”. Si tratta di uno di quei personaggi ossessionati dal suo sport, qualsiasi momento libero Drazen lo passava tirando la palla a spicchi verso un canestro, e non erano molte le volte in cui non lo centrasse. Dopo una Coppa dei Campioni vinta con il Real Madrid, anche Petrovic arriva senza troppo clamore in Nba, proprio lo stesso anno dell'amico Divac, ma con la maglia di Portland prima e di New Jersey poi. Il percorso di Drazen è ben più difficile, essendo di 4 anni più grande dell'amico sbarca negli Stati Uniti in età già avanzata e con la convinzione di essere il migliore (atteggiamento sbagliato quando si approda nella terra dei campioni). Inoltre, a causa del suo gioco eccellente ma sicuramente individualista e del pessimo rapporto con i compagni, fatica moltissimo durante i suoi primi anni ad esprimere quella vagonata di talento che possiede. Alla fine di ogni partita, la sera, Petrovic tuttavia sa che può consolarsi con la solita telefonata che arriva da Los Angeles e che, puntualmente, gli ricorda che prima o dopo lui sfonderà, perché lui è il migliore di tutti, e perché quella voce ci sarà sempre per sostenere ogni suo passo, anche nei momenti più difficili.
È l'agosto del 1990, in Argentina si disputano i mondiali di basket e la Jugoslavia vi partecipa con una delle squadre più forti che avesse mai avuto. L'esito sembra scritto già dalle prime partite, in cui i ragazzi del sud-est Europa dominano nel gioco e nei risultati. Stati Uniti umiliati in semifinale e Unione Sovietica battuta agevolmente in finale. Senza troppi complimenti, il mondiale si è concluso come doveva concludersi: la Jugoslavia è campione del mondo! Ma siamo pur sempre nel 1990, e la tensione tra i Balcani è ormai altissima, infuocata, fuori controllo. Nemmeno i festeggiamenti per un trofeo così importante rimangono estranei a questa situazione, e tra il delirio generale delle celebrazioni slave spunta d'un tratto una bandiera con i colori della Jugo, ma con lo scudo a scacchi bianco-rossi della Croazia. Vlade Divac se ne accorge immediatamente e corre a strappare quel simbolo provocatorio, secondo lui totalmente fuori luogo in un contesto di celebrazione nazionale sportiva. Drazen Petrovic non si accorge della dinamica, ma la vede il giorno seguente sui giornali. La sua successiva intervista fu scioccante, Petrovic dichiarò che d'ora in avanti il suo vecchio amico Divac sarebbe stato ben più che un avversario, sarebbe stato un nemico. Perché chi vede la propria terra sgretolarsi sotto ai colpi di una guerra spesso non lascia spazio ad eccezioni emotive o sentimentali, se sei un nemico della Croazia sei anche un nemico di Petrovic. Il cestista croato diventò presto un simbolo per tutto il suo popolo, e la posizione politica che assunse non gli permise nemmeno in seguito di cambiare opinione rigaurdo al suo rapporto con l'ormai ex amico. Ecco perché quella bandiera strappata e quell'intervista segnarono per sempre la fine del rapporto tra i due cuori slavi, uniti da un unica nazione di due mondi differenti.
Fosse stato solo per la guerra tuttavia, probabilmente il rapporto tra i due prima o dopo si sarebbe ricucito. Ma ciò che accadde il 7 giugno 1993 rese impossibile questa eventualità. Drazen Petrovic era in macchina con la fidanzata quando un camion si schiantò sulla vettura, uccidendo sul colpo il Mozart dei Canestri, e mettendo fine alla vita di uno dei talenti più eccezionali che la Jugoslavia avesse mai avuto, facendo così precipitare il mondo della pallacanestro e il popolo croato in un lutto nazionale per l'uomo che fu leggenda dello sport e del sentimento indipensentista del nuovo Paese.
Divac nel frattempo concluse una gloriosa carriera in Nba nel 2005, continuando a rimanere nel mondo della pallacanestro ancora per molti anni occupando ruoli di rilievo nel Comitato olimpico serbo. Quando ormai la guerra era finita, quando le tensioni si erano affievolite e il tempo aveva cicatrizzato buona parte delle ferite, Vlade Divac entrò in territorio croato con l'unico scopo di andare a trovare e porre l'ultimo saluto ad un grande amico, grande avversario e grande martire del popolo croato. Dopo aver parlato con la madre dell'amico, si fece accompagnare dinanzi alla tomba con sopra scritto il nome Drazen Petrovic. Se oggi qualcuno volesse andare al cimitero nel quale riposa il campione croato, lì potrebbe trovare una fotografia risalente all'epoca precedente alla guerra civile, in cui due giovani ragazzi con la passione per il basket e con addosso la divisa blu della nazionale jugoslava, si abbracciavano sorridenti. Uno era una volpe, l'altro un cane da caccia.