Continuano le mobilitazioni in tutta Italia del mondo dello sport di base, popolare e indipendente. Ieri sera a Padova, in luoghi simbolo della città, sono stati appesi degli striscioni per denunciare la situazione in cui versa il mondo dello sport. Condividiamo l'appello firmato da Polisportiva San Precario, Quadrato Meticcio Football, Palestra Popolare Galeano e Palestra Popolare Chinatown.
In mezzo alla tempesta, di nuovo, a distanza di appena tre mesi dalla fine del primo #Lockdown. Travolti da una seconda ondata mentre ancora occupavamo il tempo a dubitare della sua possibilità. Questa volta l’aria è più pesante. Le prospettive sono azzerate nel nostro settore, lo sport, così come in tanti altri comparti sociali e produttivi di questo paese.
Il virus ha mostrato le falle di un sistema che ha impiegato gli ultimi vent’anni a destrutturare lo stato sociale: dal depotenziamento dei trasporti pubblici, ai contratti di lavoro senza tutele, fino ai tagli al sistema sanitario nazionale. In tal contesto si è realizzato il vergognoso, ma forse inevitabile fallimento dei sistemi di gestione e tracciamento, alla base della decantata possibile convivenza con il virus.
E così atlete e atleti, appassionate e appassionati sono stati costretti a smettere di praticare sport, con i costi in salute che ciò comporta. Lavoratrici e lavoratori si sono fermati davanti alle palestre chiuse, magari con contratti precari mai rinnovati e dunque privi di sussidi. Le società hanno investito in sanificazione e hanno pagato le iscrizioni e gli affitti di sedi e impianti per essere poi private delle possibilità di far quadrare i conti ed essere costrette a fermare le attività educative e solidali al servizio dei quartieri.
Lo scenario è catastrofico. Il rischio è un fallimento a catena. Abbiamo perso molto, ma ci rimane qualcosa. Ci rimane ad esempio il ritrovato valore di #salute e #cura, sia a livello individuale sia collettivo, a partire dai soggetti più esposti ai rischi che questa pandemia comporta. E’ per questo che riteniamo sbagliato rivendicare oggi, di fronte ad un’allerta sanitaria generalizzata, la riapertura del nostro settore.
Ci rimangono i debiti e le tasche vuote assieme alla consapevolezza che durante crisi come questa c’è chi si arricchisce e chi sprofonda nella marginalità.
Infine ci rimane la rabbia, che peraltro non possiamo più sfogare nell’attività sportiva. La rabbia sostenuta dalla certezza che non dobbiamo pagare noi il prezzo di questa crisi né le colpe di errori che altri hanno commesso. La rabbia che ci spinge a trasformare le considerazioni in richieste specifiche da rivolgere ai soggetti competenti.