Da sempre il continente africano, quasi per definizione, parrebbe avere una storia del tutto personale e isolata con lo sport, rispetto agli altri continenti. Difficilmente gli atleti africani sono amalgamati equamente, in quanto a risultati, con gli atleti provenienti dal resto del mondo. O sono spropositatamente più forti, ad esempio negli sport di resistenza come i 1000 metri piani o le maratone; oppure sono talmente “indietro” da non essere nemmeno considerabili come competitivi, basti pensare a sport come il basket o il rugby (ad eccezion fatta per il Sud Africa, di cui sappiamo tutti quanto ci sia di “Africa” in quella nazionale).
Il calcio, fino agli anni '90, non faceva eccezione a questa regola. Questo sport per gran parte della sua storia è stato una questione tra Europa e Sud America. Ci sono certamente state negli anni precedenti apparizioni sporadiche di squadre del Continente Nero, le quali però erano chiaramente parte del contorno delle competizioni mondiali. La loro partecipazione serviva perlopiù a dare una parvenza di globalità ad una competizione, per definizione appunto, mondiale. Ad aprire le porte del mondo all'Africa fu il Marocco che in Messico '70 ottenne la prima qualificazione africana ad un mondiale di calcio, seguito quattro anni dopo dallo Zaire. Certo, già nel '66 il Ghana avrebbe potuto disputare il mondiale in Inghilterra, se non fosse stato per il boicottaggio della CAF (Confederation Africaine de Football) che decise di non presentare nazionali di sua competenza all'evento per motivazioni politiche di cui sarebbe necessario un articolo a parte.
Mancavano le strutture, mancava l'attenzione per questo sport. Molte nazioni africane erano appena uscite da anni di colonizzazione europea, e in alcuni casi ne erano ancora legate. La fioritura mondiale era lontana. La massima attenzione calcistica era tutta improntata sulla Coppa d'Africa, competizione continentale inaugurata nel 1957 che dava al popolo africano un torneo per le proprie nazionali, nel quale però le capacità e qualità tecniche dei protagonisti erano paragonabili alle competizioni europee dilettantistiche, o poco di più.
Ciò che è certo, però, è che negli anni successivi alle prime comparse mondiali, l'Africa abbia iniziato – tassello dopo tassello – a mettere in piedi un gioco sempre più agonistico, sempre più serio e basato sulle qualità da sempre possedute dagli atleti africani: la corsa, il fisico e la resistenza. Le qualità tecniche sarebbero arrivate dopo, ma lo straordinario miglioramento del gioco di questo intero continente, in modo quasi omogeneo, è senza dubbio uno degli esempi più celeri e incredibili nella storia di questo sport.
L'anno che ha segnato univocamente la storia calcistica dell'Africa è senza dubbio il 1990. Il mondiale è quello delle Notti Magiche d'Italia. È vero, per noi quelle notti non sono state magiche come avremmo sperato, ma per la nazionale del Camerun la magia è arrivata per davvero. Il Camerun per la prima volta in una competizione mondiale è stato in grado di alzare la voce, è stato in grado di mostrare al mondo che anche l'Africa ad un mondiale di calcio avrebbe potuto dire la sua, e non con una serie di colpi di fortuna, bensì con una organizzazione di gioco che non aveva nulla da invidiare a quella delle altre nazioni europee o sudamericane. Il Camerun di Roger Milla (l'intramontabile detentore del record per il gol più “vecchio”, segnato all'età di 42 anni in USA '94) batte gli argentini di Maradona campioni in carica, batte i rumeni di Hagi, e agli ottavi elimina la Colombia di Valderrama, una delle più forti di sempre. Per la prima volta una squadra africana è tra le migliori otto squadre al mondo!
Il mondiale del Camerun però non sarà un caso isolato. Perché da questo momento in avanti diventa sempre più normale prendere in considerazione l'Africa e le sue nazionali. Non più solo come possibili sorprese, ma come realtà calcistiche da rispettare e da temere. In Stati Uniti '94 sarà la Nigeria, anch'essa all'esordio, a prendere lo scettro del suo continente. Quella nazionale poteva contare tra le sue fila per la prima volta nomi di levatura mondiale. Nomi che avevano fatto grande la storia di molte squadre di club di quegli anni. Leggere sulle formazioni di una nazionale africana nomi come Jay-Jay Okocha o Taribo West era una novità per il mondo. Non potevano più essere delle sorprese, non potevano più essere un contorno. È servita l'Italia, anzi, è servito Roberto Baggio, per battere quella nazionale in un ottavo di finale nettamente dominato da quelli in maglia verde.
Il mondiale d'apertura del nuovo millennio, Giappone-Sud Korea '02, simboleggia un'ennesima apertura in senso globale del calcio. Per la prima volta la competizione viene giocata in un continente diverso da Europa o America. Anche se l'Africa deve ancora aspettare per avere il suo mondiale, ora ha visto la fine del “monopolio occidentale” e, soprattutto, ha visto l'allargamento del numero di squadre africane che adesso è giunto a cinque. Se si pensa che otto anni prima la CAF poteva mandare solamente tre compagini, si capisce quanto il mondo del calcio abbia acuito la propria lente verso l'Africa. Anche in questa occasione tra le migliori otto squadre del torneo figurerà una strabiliante realtà africana, il Senegal, che forse ancor più delle realtà precedentemente narrate, ha lasciato il mondo intero a bocca aperta. Imbattuto al girone, sconfiggendo i francesi campioni in carica, e solido sia agli ottavi con la Svezia che ai quarti, dove verrà sconfitto dalla Turchia, medaglia di bronzo del mondiale.
Il viaggio africano nella storia della madre delle competizioni di questo sport ha il suo culmine nel 2010, anno in cui per la prima volta nella storia il Campionato Mondiale approda in Africa! Sud Africa '10 è la coronazione perfetta di un faticosissimo viaggio sportivo che inizia dall'asfalto e dalla sabbia, quando nel mondo già esistevano gli stadi. Prosegue verso anni di inadeguatezza, quella di chi si sente in un luogo quasi per sbaglio, di fronte a chi invece sapeva giocare sul serio. Arriva ad una maturazione giunta in netto ritardo, e che porta con sé milioni di rimpianti e di ingiustizie. Alla fine però anche l'Africa ce l'ha fatta. Il fatto che tra le migliori otto squadre del mondiale ne figuri soltanto una africana, il Ghana, è stato considerato quasi come un fallimento dai giornali di tutto il mondo. Ma questo, in realtà, è il più grande dei successi. È la consacrazione che il Pianeta dà al calcio africano. È il riconoscimento che i Leoni (soprannome comune a tutte le squadre nazionali del Continente Nero) attendevano da molti, troppi anni. È il traguardo di una corsa durata quattro decadi e che meriterebbe d'essere analizzata in ogni suo minimo dettaglio. Ora l'Africa ha ottenuto il suo prestigio, ma le vette da scalare in questa competizione sono ancora molte, e tutte queste convergono nel sogno di, un giorno, poter alzare davvero quella coppa. Oggi questa è solo una chimera. Domani, chissà...