sherpa k2 invernale sport alla rovescia

Fin dalla notte dei tempi l'uomo ha scalato le montagne, da sempre considerate luoghi sacri e strategici punti di osservazione. Il confronto spesso tramutato in lotta tra se stessi e la montagna per la "conquista" della cima è diventato un'ossessione per gli esploratori già da fine Ottocento. Nel Novecento la smania nazionalista e lo spirito "conquistatore" provocò una contesa tra le nazioni dell'occidente che più praticavano queste discipline. L'Italia "conquistò" la cima del K2 nel 1954. Impresa eroica? Tutt'altro. Nessuno mette in discussione la caratura e la preparazione degli alpinisti dell'epoca che hanno partecipato alla spedizione, ma, piuttosto, l'intreccio di ambiguità, bugie e silenzi che è stato costruito come storia narrante di quei momenti.

Il K2 è la seconda cima più alta del mondo con i suoi 8609 mt. sul livello del mare e come tale ha sempre suscitato interesse e ammirazione per la sua maestosità e per il livello di difficoltà delle ascese. Senza elencare tutte le spedizioni effettuare sia dal versante pakistano che da quello cinese, risulta singolare il volo con il deltaplano effettuato dall'eclettico alpinista francese Jean Marc Boivin nel 1979 dalla quota di 7200 mt.

Se l'anno "montano" deve partire sempre con una buona notizia, certo questa lo è. Gennaio, 2021. Con piacere e interesse leggiamo del primato dell'impresa invernale portata a termine sabato 16 gennaio da un gruppo di sherpa nepalesi. Si tratta della prima ascensione invernale riuscita sul K2. La cosa ancor più interessante e nuova è che non c'è stato un individuo singolo che ha dichiarato "mea per me" alla vetta, perché alla cima è arrivato tutto il gruppo unito. A dieci metri dalla cima, infatti, le diverse cordate si sono aspettate e hanno compiuto, insieme, gli ultimi passi verso la vetta. L'impresa dei dieci: Nirmal Purja, Gelje Sherpa, Mingma David Sherpa, Mingma Tenzi Sherpa, Dawa Temba Sherpa, Pem Chhiri Sherpa, Mingma G. Sherpa, Kili Pemba Sherpa, Dawa Tenjing Sherpa e Sona Sherpa.

«Siamo orgogliosi di aver fatto parte della storia dell'umanità e di dimostrare che la collaborazione, il lavoro di squadra e un atteggiamento mentale positivo possono superare i limiti di ciò che riteniamo possibile»

Lo scrive su un post qualche giorno dopo l'impresa Nirmal Purja, entrato nella storia dell'alpinismo per aver scalato tutti i 14 Ottomila nel tempo record di 189 giorni.

La notizia ha fatto il giro del mondo e da subito la questione si è concentrata sulle modalità e sulle tecniche di salita, piuttosto che sull'importanza dell'impresa. La pandemia ha sicuramente ridotto le uscite in montagna generando la figura del "polemizzatore" da salotto (che purtroppo sono veramente in salotto!) al caldo e con la pancia piena puntualizzando sull'uso di bombole di ossigeno o sulla purezza dello stile alpino non considerando la preparazione tecnica, la forza mentale, la tenacia e la fatica che si devono affrontare a tali quote, sopratutto in inverno. 
La verità è che gli amanti della montagna invidiano questo gruppo di nepalesi che in tempi di restrizioni si sono inventati di fare un'ascensione invernale. Di per sé è già romantico così, e il fatto che sia stato realizzato da un gruppo di sherpa nepalesi ha una validità di riscatto nei confronti degli stati "conquistatori". Certo, sarebbe stato più audace da parte loro conquistare l'Everest, la "loro" montagna di casa, ma le terre alte e altissime non possono entrare nelle logiche sovraniste. Andare in montagna, scalare, effettuare spedizioni impegnative, devono esser considerate come una forma di vita romantica, su questo Bernd Arnold dice che l'arrampicata per lui è..."Realizzare un desiderio di semplicità per liberare il corpo e la mente. Un elemento fondamentale è la scelta dei compagni di viaggio".

Da qualche giorno stanno uscendo articoli rispetto alla conferma dell'uso dell'ossigeno da parte degli sherpa nepalesi. Questo aspetto può risultare secondario se si considera le condizioni invernali di quote così alte che portano ad una rarefazione dell'aria e una scarsità di ossigeno significativa. Non ha senso centrare la discussione sulle bombole di ossigeno e la tecnica di ascesa perché ci abbiamo pensato noi con decenni di processi tra Bonatti, Lacedelli, Compagnoni e Desio. Ciò non toglie il fatto che nel campo base possano esserci stati dei malumori e tensioni, ma sicuramente i nepalesi non si abbasseranno a rovinare il tutto con un "patto leonino" come hanno fatto gli italiani nel 1954. È indubbio che avranno avuto un apparato che ha permesso loro tale spedizione ma piace considerare la parte romantica di quest'impresa e al riscatto che hanno dato allo Sherpa Mahdi (anche se era di etnia hunza, in quanto pakistano) che dopo la notte all'addiaccio con Bonatti (durante l'ascesa italiana della montagna) ha scelto di non salire più nel suo ambiente più affine: il Karakorum.

"Stare in vetta cosi vicino al cielo, decidere tutto da sé, cercare il pericolo o evitarlo, non avere vincoli: questo è il mondo in cui mi identifico" Herbert Wunsche