Il mondiale è una gara strana. Un giorno solamente, poche ore di gara corse con compagni di
nazionale che durante l’anno cerchi solamente di battere, per cercare di arrivare alla maglia
(stupenda!) che ti accompagnerà per un anno intero.
Per vincere un campionato del mondo devi
essere in forma, fortunato e soprattutto devi avere un tempismo perfetto, poi magari se i compagni
di squadra non tirano per venirti a prendere mentre sei in fuga... come dire, aiuta (vedi mondiale
2001, Lanfranchi che tira in testa al gruppo con Simoni in fuga solitaria).
Nella sua stranezza la corsa ha comunque le sue consuetudini che, solitamente, vengono rispettate.
Una su tutte è oramai regola. Chi ha visto qualche Campionato del Mondo di ciclismo su strada,
infatti, sa che la prime 3/4 ore di corsa vivono con la fuga dei perfetti sconosciuti. Normalmente
atleti sudamericani o dell’est in cerca di visibilità che arrivano ad avere 15 minuti di vantaggio
mentre i telecronisti parlano del meteo, delle pietanze tipiche del luogo, dei castelli della zona
e della colazione della nazionale azzurra. Il mondiale di Ponferrada di quest’anno non ha fatto
eccezione. La novità è che a tirare il celebre “gruppo dei migliori” per larga parte della gara c’erano
le maglie bianche e rosse della nazionale polacca. “Per chi tirano i polacchi?” Si chiedevano con
una mal celata ironia da studio Alessandra De Stefano e Beppe Conti, “Con chi avranno fatto
accordi?” Si, perché al mondiale capita spesso che nazionali senza alcuna speranza di vittoria
finale si mettano al servizio di qualche campione di altre squadre con accordi più o meno segreti.
“La Polonia ha Kwiatkowski ma non credo che tutta la squadra tiri per lui”. Insisteva con faccia
furbetta la De Stefano mentre Stefano Garzelli provava a dire che si... forse tiravano proprio per
lui, o comunque per qualche compagno che si sentiva in forma. Ammetto che io stesso, a casa, ho
pensato che avessero informazioni di prima mano in merito ad un attacco di dissenteria del giovane
polacco. Perché, quest’anno terzo sia nella Freccia Vallone che nella Liegi-Bastogne-Liegi, se non
tra i favoriti sicuramente era inserito tra gli outsider di lusso.
Fatto sta che uno dei mondiali più soporiferi della storia procedeva senza troppi scossoni, ravvivato
più dalla pioggia che dal “caos programmato” (così il CT della nazionale italiana Cassani aveva
ribattezzato la sua tattica) della squadra azzurra. Qualche attacco delle seconde linee, fughe senza
pretese, il generoso De Marchi, l’ammiraglia della nazionale norvegese che abbraccia un platano
lungo la discesa e si arriva così a 8 Km dall’arrivo. Quando Kwiatkowski allunga in discesa e
guadagna i pochi secondi che gli permettono di laurearsi, a 24 anni, Campione del Mondo, sembra
improvvisamente la cosa più ovvia e naturale. Dietro, i grandi favoriti Valverde (al sesto podio
mondiale senza mai averlo vinto), Gilbert, Van Avermaet, Gerrans non riescono a chiudere “il
buco” e disputano la volata per il secondo posto (che ad un mondiale vale come il quattro di denari
quando giochi a Monopoli).
 
 
Questo Campionato del Mondo probabilmente non passerà alla storia. Pochi scatti, i big in ombra,
andate in pace, la messa è finita. Detto questo, Kwiatkowski ha meritato il successo, ha avuto tutte
le qualità di cui abbiamo parlato all’inizio. Questo mondiale ci dice anche un’altra cosa. In un
ciclismo fatto di preparazioni scientifiche, doping, tecnologia, capita ancora che quando vedi una
squadra in testa a tirare, quella squadra stia lavorando per un compagno. Quindi, per chi tiravano i
polacchi? Per un polacco, cari giornalisti Rai, per un polacco!