Il Decreto Balduzzi ha introdotto l'obbligatorietà del certificato medico per lo svolgimento di un'attività sportiva e l'obbligo per le associazioni sportive di dotarsi di un defibrillatore. Con le recenti modifiche è stata fatta una distinzione tra le attività ludico-motorie e quelle non agonistiche.
Per le prime, quelle svolte da soggetti non tesserati al Coni, il certificato non è obbligatorio, mentre per le seconde sì. Per attività non agonistiche si intendono quelle svolte da associazioni sportive iscritte al Coni, alle Federazioni, alle Discipline Sportive Associate e agli Enti di Promozione Sportiva. In questo caso il certificato può essere rilasciato dal medico di base, dal pediatra o dal medico sportivo, ma oltre alla visita di base e alla misurazione della pressione è obbligatoria l'esecuzione di un elettrocardiogramma almeno una volta in vita. Detto in altre parole vuol dire che per ottenere il certificato è sufficiente anche un elettrocardiogramma di 30 o 20 anni fa. Già questo basterebbe per mettere in evidenza le lacune di una normativa che riflette un'antiquata concezione dello sport come una potenziale minaccia per la salute da una parte e dall'altra come un modello che guarda al professionismo e alla competizione. E' evidente come il decreto Balduzzi sia pensato più per tutelare gli interessi delle assicurazioni che quelli dell'atleta. E' figlio della logica preventiva tipica della medicina legale, che deve autorizzare la pratica sportiva, anziché incentivarla quale risorsa e componente fondamentale della salute delle persone.
Ci sono infatti studi del Coni stesso che dimostrano i benefici per la spesa pubblica sanitaria in caso di aumento delle persone attive, come allo stesso tempo l'aumento della sedentarietà accorcia i tempi di vita.
La tutela e la sicurezza di un atleta non è data da dei pezzi di carta, è qualcosa di più, riguarda l'approccio alla disciplina, i metodi di insegnamento, il contesto sociale, ambientale, dove viene svolta l'attività sportiva. Il decreto Balduzzi non nasce per salvaguardare veramente le persone, infatti banalmente la necessità del certificato non dipende dalla disciplina ma da chi la promuove. Ad esempio per un corso di zumba o yoga in una palestra commerciale non è necessario, mentre se il corso di zumba o yoga è promosso da un'associazione sportiva affiliata alla Uisp o all'Aics il certificato diventa obbligatorio.
Questo obbligo è un disincentivo alla pratica sportiva, perchè rappresenta un ulteriore costo a carico dell'atleta, infatti ad esempio a Vicenza il prezzo minimo è di 30 euro. E' normale che sorgano dei sospetti sulla reale “ratio” di questo decreto.
Infatti se il certificato fosse veramente pensato a tutela dello sportivo, dovrebbe essere gratuito. Questa sarebbe una scelta che va verso la promozione dello sport e il riconoscimento del suo valore all'interno della società. Alcune regioni si sono mosse in questa direzione oppure hanno considerato l'attività amatoriale non agonistica come ludico-motoria, quindi togliendo di fatto l'obbligo del certificato.
E' necessario aprire un ragionamento da subito, il più aperto possibile, tra tutti quei soggetti che hanno a cuore veramente la tutela e l'accessibilità allo sport, per costruire una campagna rivolta alle Regioni, in cui si chieda la gratuità del certificato oppure la non obbligatorietà per le attività amatoriali non agonistiche.
Lo sport è un'opportunità, non un rischio.