Gian Marco Dunia è un millennial di Milano che appena ventenne si trasferisce a Londra per lavoro; ma la solitudine della metropoli ed il grigio sfruttamento cognitivo delle nuove forme di produzione non fanno per lui, e così, forte della sua passione per lo sport, scavalca le frontiere fino a raggiungere l’Africa più profonda per creare insieme ai giovani residenti del luogo un progetto scandito dai tempi e ritmi dell’aggregazione, della socialità e di un umanità vera. In questi ultimi mesi le cronache web e cartacee hanno già parlato di lui e del suo progetto “Hopeball”, di seguito una nostra intervista.
Dalla grande metropoli inglese ad un piccolo centro dell’Africa: come è nata l’idea di mettere in piedi un progetto come “Hopeball”, lontano come distanze e come mondo rispetto alla situazione in cui ti trovavi? Cosa hai pensato in quel momento? Come ti è scattata la scintilla? Quali i primi passaggi?
Ognuno di noi dovrebbe occupare il ruolo all'interno del mondo che non solo lo soddisfi maggiormente ma anche quello nel quale riesca ad esprimere al meglio se stesso. Vivendo a Londra ho occupato un ruolo che non mi apparteneva. Lavoravo per un'azienda: intense ore di lavoro nelle quali il fine ultimo era aumentare il profitto aziendale e per cui dopo all'incirca un anno di lavoro ho cominciato a chiedermi "per chi sto facendo quello che faccio?”. La risposta non mi ha soddisfatto, non accettavo di star dedicando le mie forze, e di fatto la mia vita, al servizio di un azienda con l'unica ricompensa di ricevere denaro; aspiravo a qualcosa dipiù , ad un qualcosa che mi ripagasse con un'altra moneta ben più preziosa, a qualcosa nel quale io potessi veramente dare il meglio di me a trecentosessanta gradi. C'e` sempre stato qualcosa nella mia vita che mi ha accompagnato, qualcosa che mi ha fatto stare bene, che mi ha fatto divertire, crescere ed imparare: lo sport. Lo sport in tutte le sue forme, dai tiri a canestro nel campetto sotto casa, dalle partite dell'Inter guardate sul divano o viste allo stadio fino alle piste di sci di fondo dove ho per anni gareggiato. Tutto cio` fino al giorno in cui, a soli 19 anni, un infortunio mi costrinse ad appendere le scarpe al chiodo con una ferita che ancora non sono riuscito a rimarginare. Cosi` la fuga verso Londra, il tentativo di ricominciare una vita lasciandomi alle spalle i ricordi dello sport, un tentativo rivelatosi fallimentare: lo sport non mi ha abbandonato, mai. Lo sci di fondo mi ha insegnato che percorrendo una salita non saprai mai cosa troverai alla fine di essa a patto che non la percorri, lo sport mi ha insegnato che si puo` sempre sperare, e sperare nello sport e` davvero facile, basta una palla. Nasce cosi` "Hopeball", nasce cosi` il voler dare una forma alla speranza. Hopeball non è un'accademia, non è una filosofia, non è didattica, non è semplice volontariato, Hopeball è passione. Hopeball e` cio` che di meglio io posso dare; quando si pensa al volontariato in Africa le prime immagini sono quelle di medici, architetti, ingegneri ed insegnanti ma io non sono nulla di questi, io sono solo un ragazzo con una grande passione per lo sport, e credo che di passioni si viva percio` ero convinto che con la mia capacita` di trasmettere passione ed entusiasmo avrei potuto aiutare qualcuno. I primi passi sono stati la stesura di un progetto educativo, un progetto nel quale appunto tramite lo sport i ragazzi avrebbero potuto vivere una vera e propria esperienza di apprendimento e di crescita; questo progetto e` stato letto da numerose Onlus e associazioni dalle piu` grandi e rinomate fino alle piu` piccole e sconosciute ed e` stata proprio una umile Onlus chiamata Whanau ad avvallare l'idea del progetto… alla faccia dei "grandi nomi". L'intesa e` nata subito e cosi` mi sono stati forniti i contatti necessari per poter organizzare la mia permanenza in Zambia: una volta sistemato tutto ho messo il pallone nello zaino e sono partito!
In cosa consiste il progetto “Hopeball”? Quali sono gli obiettivi e quello che avete fatto dalla sua fondazione fino ad oggi? Quale il significato sociale, legato allo sport, che ti sei proposto di conseguire?
Hopeball e` un progetto educativo sportivo che si pone, tramite i valori dello sport, di fornire un percorso educativo a coloro che non hanno la possibilta` di accedere all'istruzione. Il progetto non ha dunque pretese competitive ma puramente educative e ludiche. Per me lo sport e` stato spesso metafora della vita ed ho dunque pensato che potesse essere utilizzato proprio come strumento per affrontare i temi della vita stessa: lo sport permette di vivere esperienze di vittoria ma anche di sconfitta e senza la paura di subire gravi conseguenze. E cio` non e` da poco per dei ragazzi abituati e cresciuti per strada, cosi` un calcio di rigore puo` diventare l'occasione per prendersi una responsabilita`, si grossa, ma sempre limitata al contesto sportivo. Hopeball prende piede in Zambia, nel villaggio di Monze, dove viene fondata la squadra "Zesco Stars" che attualmente milita nella divisione amatoriale della Football Association of Zambia . Gia` dalla prima amichevole gli insegnamenti sono stati parecchi, le "Zesco Stars" si sono trovate sotto per 2 -0 al termine del primo tempo ma hanno avuto la forza di ribaltare il punteggio portando a casa una vittoria per 4-2, a testimonianza che non bisogna mai arrendersi e nulla e` perduto se si ha coscienza delle proprie capacita`, nello sport e,ovviamente, nella vita. Assimilata la concezione che lo sport sia metafora della vita ecco come viene usato a strumento di miglioramento sociale: lo Zambia e` afflitto da Hiv e AIDS facendone una piaga talmente diffusa che nessuno puo` veramente essere considerato immune ed uno dei maggiori problemi e` l'esclusione e l'isolamento in cui vengono lasciati i "malati" e coloro che hanno contratto il virus. Lo sport insegna che nessun compagno di squadra va mai lasciato solo in difficolta` e questo i ragazzi lo sanno bene e sempre in partita ed allenamenti sono disposti ad aiutare i compagni, ma cosi` in campo anche al di fuori di esso il comportamento dev'essere tale: mai lasciare da solo una persona in difficolta` perche` solo stando uniti si possono sconfiggere gli avversari piu` tosti. Dunque il pallone da calcio rimbalza allo stesso modo anche sotto l'equatore, e` questa la prima considerazione che emerge dal progetto, a significare che non importa in quale parte del mondo si sia, i valori dello sport rimangono immutati. Lo sport ha la capacita` di aggregare, di portare urla di gioia dove prima c'era il silenzio, ha la capacita` di far giocare assieme amici, padri, figli, sconosciuti e persino "musungu" (uomo bianco in lingua Nianja, dialetto zambiese). Lo sport insomma e` per antonomasia momento di socialita` ed e` in grado di abbattere ogni limite, barriera e pregiudizio. Molti tifosi ed appassionati di sport hanno vissuto negli ultimi anni momenti difficili vedendo come lo sport, calcio in primis, sia diventato sempre piu` un business legato sempre più ai soldi e meno ai sentimenti; inoltre lo sport e` stato protagonista di momenti discriminatori sfociati addirittura in becero razzismo. Hopeball vuole essere la testimonianza che lo sport e` invece uno strumento di coesione sociale e di emancipazione anche per chi ha meno voce in capitolo.
Puoi raccontarci qualche storia personale dei giocatori che hanno fatto parte del progetto sportivo che hai messo in piedi? Cosa ti ha colpito in generale delle storie di vita che sei venuto a conoscere? Quanto il calcio e l’aggregazione connessa allo sport hanno avuto un impatto positivo sulle loro vite?
Le storie personali dei giocatori sono interamente raccolte sulla pagina facebook "Hopeball" dove e` possibile leggerle ed approfondirle. Sono spesso diverse ma hanno in comune una ribalta di speranza avvenuta tramite l'aggregazione allo sport. Sono rimasto folgorato dalla loro risolutezza nel prendere in mano le loro vite per dimostrare che hanno ancora tanto da dire, dalla loro voglia di emanciparsi e di farlo calciando un pallone. Far parte delle "Zesco Stars" per i ragazzi della squadra non e` cosa da poco, all'interno del gruppo sportivo essi sperimentano per la prima volta le dinamiche di gruppo. Per noi il gruppo e` qualcosa che si vive quotidianamente fin dall'infanzia tra compagni di classe, amici, colleghi ed in primis la famiglia; ma nella realta` delle "Stars" questi gruppi sociali sono sconosciuti, spesso addirittura la famiglia viene meno, ed e` quindi la squadra di calcio ad essere il primo gruppo con il quale si rapportano. Il valore principale del lavorare in gruppo e` la responsabilita: le scelte che vengono fatte a livello individuale non ricadono solamente su se stessi ma su tutti i componenti della squadra. Lo ha imparato bene Trainford, centrocampista ventunenne, che lavora durante le ore degli allenamenti, per cui si prepara da solo ogni mattina all'alba per non perdere la forma fisica necessaria per dare il suo contributo durante le partite. Oltre alla responsabilita` viene il rispetto, non solo per gli avversari ed i compagni ma anche per se stessi, testimoni quei giocatori (ahime non pochi) vittime di problemi d'alcoolismo e che ora hanno scelto di lasciare quella brutta strada per dedicarsi alla squadra. Non di meno i valori di dedizione, impegno, crescita e ovviamente speranza. "Zesco Stars" e` per i propri ragazzi motivo di orgoglio, per la prima volta essi riescono a trovare un ambiente nel quale possono finalmente dimostrare quello che veramente sono in grado di fare, possono farsi valere e far sentire la propria voce. Le condizioni socio-economiche di Monze portano i ragazzi a vivere senza aspettative, senza obiettivi, a vivere ogni giornata identica a quella prima e a quella seguente mentre l'aggregazione sportiva stravolge questo loop. Non e` solo il senso identitario della squdra, il sentirsi rappresentanti di un qualcosa, ma anche il dover necessariamente iniziare a pianificare e pensare al futuro. Ogni lunedi` inizia il lavoro per affrontare al meglio la partita del weekend e cio` e` una novita completamente assoluta per i ragazzi. Vedendo arrivare i risultati (le Zesco Stars hanno concluso il girone d'andata prime in classifica) i ragazzi tornano ad avere fiducia in se stessi! Ma prima di tutto far parte delle "Stars" e` una scelta: tutti i giocatori hanno scelto di dedicare le proprie forze al servizio della squadra e, credetemi, non e` poco. Ogni giorno i ragazzi sostengono, insieme al gruppo o in autonomia per chi lavora, piu di tre ore di allenamento mentre la maggior parte dei loro coetanei preferisce imboccare strade piu` semplici ma piu` deleterie tra cui non mancano l'alcoolismo e la criminalita`: questa scelta e` per i ragazzi un vero e proprio motivo di orgoglio! Ancora una volta hanno dato dimostrazione che lo sport puo` dare tanto, che lo sport e` un arma per combattere la poverta` e che in campo si e` sempre 11 contro 11, non importa cosa sia successo prima, ce la si gioca alla pari. Me lo ha dimostrato Eaford, 19 anni ed una gamba sola, due stampelle a sorreggere un fisico possente ed energico che non molla niente sul campo da gioco perche` non c'e` scritto da nessuna parte che servono due gambe per giocare a calcio, serve invece una cosa sola: la passione. Le "Zesco Stars" anche se non hanno niente in campo danno tutto.