La Coppa d’Africa del 2017 è iniziata lo scorso sabato 14 gennaio in Gabon, ex colonia francese, paese dell’Africa centrale che si affaccia sul Golfo dell’ Atlantico ed attraversato dalla linea dell’equatore.
In un continente difficile come l’Africa, parlare di un torneo calcistico tra le nazioni che lo compongono inevitabilmente pone l’attenzione su determinate situazioni sociali e politiche, come quelle dei paesi che ospitano tale manifestazione. Era accaduto così ad esempio che, nell’edizione della Coppa d'Africa 2015, ci fosse un cambio di programma del paese ospitante: era previsto che si giocasse in Marocco, ma come scrisse nel novembre del 2014 Stefano Fonsato sulle pagine del "Manifesto" nell’articolo “Il Marocco si fa eliminare da Ebola”, la paura della diffusione del virus Ebola, questione che divenne un caso internazionale, fece si da far cambiare paese ospitante della coppa, a due mesi dall’inizio. Leggendo il pezzo di Fonsato, la coppa si disputò altrove (in Guinea)non solo per la paura della possibile diffusione del virus, ma anche dell’inadeguatezza del paese ad ospitare un tale evento. Cosa pensare poi ad esempio, del fatto che nel 2011 la CAF, la confederazione africana di calcio, aveva selezionato la Libia come paese ospitante del torneo, ma che le ingerenze internazionali delle potenze occidentali a partire dal 2011 per destituire Gheddafi ed aver un controllo dell’area, hanno provocato uno stato di guerra civile caotico e permanente, impedendo di prendere solamente per ipotesi che la Libia potesse ospitare la Coppa D’Africa? Ma veniamo al Gabon, paese ospitante dell’edizione di questo anno. E’ ancora Stefano Fonsato, in un articolo apparso sul "Manifesto" lo scorso sabato 14 gennaio dal titolo “Coppa d’Africa che passione” (data in cui la stella del Gabon ed attaccante del Borussia Dortumnd, Aubemayang batteva il calcio d’inizio della kermesse continentale nella capitale del paese, Libreville) a scrivere in proposito di una nazione africana dove la Cina “ha investito 3 miliardi per allungare la sua mano sui giacimenti del ferro e una manodopera a bassissimo costo, più simile alla schiavitù. In cambio delle infrastrutture: Pechino ha infatti “regalato” all’eccentrico presidente Ali Bongo (che si è intascato gran parte dei contributi Fifa) due dei quattro stadi in cui si svolgerà la competizione, lo Stade d’Angondjé di Libreville e lo Stade de l’Amitie di Port Gentil, così chiamato a suggello dei “buoni rapporti” con Pechino…”. Una delle notizie più interessanti si è potuta leggere sull’edizione francese del giornale di “Le Monde”, nell’articolo pubblicato oggi, lunedì 16 gennaio, dal titolo “La Coppa d’Africa non farà dimenticare le condizioni di vita ai Gabonesi”. Si tratta di un pezzo – intervista a Laurence Dong, docente universitaria di scienze didattiche presso l'Université Paris Sorbonne, attivista e presidente di varie associazioni, originaria del Gabon, autrice del libro uscito di recente “Gabon, perché ti accuso”, ed oppositrice del regime di Ali Bongo, attuale presidente del paese, che ha vinto le elezioni presidenziali lo scorso fine di agosto del 2016 tra molte polemiche per accuse di brogli, accuse che in base ad articoli di approfondimento sul caso apparsi sul giornale britannico “The Guardian”, sembrano piuttosto fondate; in seguito delle elezioni, si sono anche svolti diversi scontri nel paese.
Secondo Laurence Dong, il presidente Ali Bongo vuole utilizzare la manifestazione calcistica per mettere a tacere le polemiche nel paese. La Coppa sarebbe un mezzo per occultare i problemi del paese ai suoi stessi cittadini ed all’esterno. Secondo Dong “C'è una tale contrasto tra la situazione politica, economica e sociale del paese e l'organizzazione di una siffatta competizione, che la stragrande maggioranza delle persone non vogliono questa Coppa d’Africa. Ci sono molte manifestazioni di dissenso nel paese e nel mondo. Il contesto sociale è così difficile che gli studenti del Gabon si siedono su un pavimento in aule sovraffollate e gli ammalati non hanno alcuna medicina in ospedale”. Insomma, sembra che anche in Gabon si ripetano alcune delle logiche dei grandi eventi nell’era liberista: profitti per pochi ed ingenti investimenti di cui non usufruirà la popolazione che vive in un contesto di difficoltà, mentre le luci degli stadi illuminano uno spettacolo sportivo distante dalla vita reale.