di Davide Drago
Gaetano Miccichè è il nuovo presidente della Lega di Serie A. Il commissario Giovanni Malagò è riuscito, dunque, a persuadere tutti e 20 i club e l’Assemblea dei presidenti lo ha eletto all’unanimità. Dopo un anno di commissariamento il mondo del calcio di serie A è pronto a voltare pagina. Ma in che direzione vuole andare questo cambiamento?
Ricevuta la comunicazione dell’elezione Miccichè è arrivato nella sede della Lega Calcio ed è stato accolto da un lungo applauso. Gaetano Miccichè succede a Maurizio Beretta dimessosi il 27 marzo 2017, ultimo presidente della Lega Serie A prima dei due commissari Carlo Tavecchio e Giovanni Malagò. Il neopresidente entrerà in carica quando sarà rinnovata completamente la governance della massima serie di calcio, con l’ad, i quattro consiglieri di Lega, quello indipendente e i due federali, e si concluderà quindi il commissariamento affidato al presidente del Coni, Giovanni Malagò. Questa partita, però, difficilmente si chiuderà nella prossima assemblea, in programma il 27 marzo a Roma. Con la nomina di Miccichè, peraltro, la Lega ha anche apportato delle modifiche statutarie volute dal Coni che permetteranno di approvare le delibere più delicate con la maggioranza semplice a partire dalla terza votazione. In questo modo si eviterà la formazione dei blocchi contrapposti che in questi anni hanno paralizzato l'attività della lega di Serie A. Si sposa in altri termini una visione più aziendalista e manageriale in cui il neopresidente e il futuro amministratore delegato potranno incidere sui temi legati allo sviluppo del movimento calcistico. Altro tema caldo dell'assemblea sarà quello dei diritti TV.
Le prime parole di Miccichè, rispetto alle difficili sfide che lo attendono, sono state soft e non d'impatto, il neopresidente ha dichiarato: «Si tratta di un’opportunità del tutto inaspettata. Venti giorni fa non avrei mai pensato di diventare presidente della Lega. Grazie al presidente Malagò e ai presidenti delle 20 società che all’unanimità hanno deciso di votarmi. Sono orgoglioso, ma anche determinato e impegnato», e ha continuato dicendo: «Io posso portare un contributo di serietà, di coinvolgimento di tutti gli attori sociali e posso cercare di fare in modo che questo mondo del calcio diventi una realtà in cui si possano perseguire gli interessi di tutti».
Chi è Gaetano Miccichè? Nato a Palermo il 2 ottobre 1950 in una famiglia agiata della borghesia cittadina. Il padre, Gerlando, era un alto dirigente del Banco di Sicilia. Suo fratello Gianfranco è un politico fedelissimo a Silvio Berlusconi, l'altro fratello, Guglielmo, è stato vice presidente del Palermo fino alla primavera del 2017 e suo zio Luigi, invece, fu consigliere della stessa società di calcio alla fine degli anni cinquanta. Politica, calcio, banche, la famiglia del neopresidente rappresenta a pieno tutto il peggio che il capitalismo finanziario italiano possa offire e la sua storia personale non è da meno.
Nel 1971 ricopre il ruolo di responsabile clientela corporate presso la Cassa Centrale Risparmio delle Province Siciliane. Nel 1989 è nominato Direttore Centrale Finanza di Rodriquez S.p.A., società leader mondiale nel settore della navigazione veloce. Dal 1992 al 1995 è prima Direttore Generale e successivamente Liquidatore Delegato in Gerolimich - Unione Manifatture, holding di partecipazioni in diversi settori industriali. Nel 1996 diventa Direttore Generale di Santavaleria, holding di partecipazioni industriali nei settori chimica e vetro. Dal 1997 al 2002 ricopre la carica di Amministratore Delegato e Direttore Generale di Olcese S.p.A. Dal 2002 al 2006 è in Banca Intesa, dove assume da giugno 2002 la responsabilità della Direzione Large Corporate e Structured Finance e da gennaio 2005 la responsabilità della Divisione Corporate. Entra nel 2007 in Intesa Sanpaolo e ricopre il ruolo di Responsabile Divisione Corporate & Investment Banking fino ad aprile 2016. Dal 2010 fino al 2016 assume la carica di Direttore Generale, Responsabile della Divisione Corporate e Investment Banking di Intesa Sanpaolo e dal 2013 per 3 anni è membro del Consiglio di Gestione. Parallelamente, dal 2007 al 2015, Gaetano Miccichè è anche amministratore delegato di Banca IMI. Tra gli altri incarichi ricoperti quello di Consigliere di Amministrazione di Alitalia. Inoltre, dall'aprile del 2011 all'aprile del 2014 ha fatto parte del consiglio di amministrazione di Telecom Italia, azienda in cui aveva già ricoperto la carica di Consigliere di Amministrazione dal 2007 al 2011. Dal 2016 è membro del Consiglio di RCS. Proprio quest'ultimo incarico risulta fondamentale negli intrecci del calcio italiano, per quanto riguarda la questione diritti televisivi, e soprattuto nell'elezione di Miccichè a presidente della Lega.
Nell'elezione di Miccichè, infatti, ha avuto un ruolo centrale Urbano Cairo. Quest'ultimo oltre ad essere presidente del Torino è socio (al 50,2%) della Cairo Comunication e riveste la doppia carica di presidente e amministratore delegato di RCS MediaGroup, guarda caso stesso gruppo in cui Miccichè è consigliere. Cairo dopo essere riuscito a impedire l’elezione del presidente della Federcalcio, avere orchestrato il doppio commissariamento del pallone con l’aiuto del presidente del Coni Giovanni Malagò, e dopo avere fatto saltare il banco dei diritti tv, facilitando l’ingresso di Mediapro, è riuscito, sconfiggendo nettamente il suo nemico Lotito, a portare un suo uomo fidato a ricoprire l'ambita carica di presidente della Lega. Con la caduta di Lotito si sfalda quel sistema di potere di cui il presidente della Lazio era solo la faccia più visibile, e che si reggeva sulla gestione dei diritti tv da dieci anni in mano a Infront. Proprio sulla tv si gioca l’ultima e decisiva partita. Dopo il colpo di Mediapro, che gridando ai quattro venti di voler fare il canale della Lega ha sbaragliato la concorrenza con un’offerta fuori mercato, è arrivata la lettera dell’antitrust. Tutto si giocherà alla prossima assemblea di Lega, infatti, quel giorno scade il termine a disposizione della società audiovisiva spagnola Mediapro per presentare l'anticipo di 50 milioni di euro. L'intermediario Mediapro, il colosso spagnolo che ha acquistato i diritti tv delle dirette pay della Serie A 2018-21 per 1050 milioni a stagione, chiede chiarimenti su alcuni passaggi relativi alle condizioni poste nel parere dell'Antitrust che ha dato l'ok all'assegnazione. L'Antitrust ha escluso categoricamente che Mediapro possa sconfinare in un ruolo editoriale creando un canale tematico, stabilendo che debba limitarsi quale intermediario indipendente a rivendere i pacchetti agli operatori. Ma c'è più di un dubbio sui margini di manovra dei catalani rispetto ai pacchetti e alla necessità, qualora Mediapro li modificasse rispetto a quelli messi all'asta, di una ulteriore autorizzazione dell'Antitrust con dilatazione dei tempi (60 giorni). Dovesse saltare tutto, e c’è la possibilità, tornerebbe a farsi sotto Sky come player dominante e riprenderebbe a respirare anche Infront. Se invece riuscirà a partire il canale indipendente della Lega gestito da Mediapro, si arriverà a ciò che vogliono Malagò e soprattuto Cairo, ossia il distacco della Lega di A dalla Federcalcio e la creazione di una lega privata e indipendente sul modello della Premier League inglese.
Gli obiettivi di Cairo, Malagò e Miccichè sembrano diversi, ma non lo sono. Quest'ultimo mira ad obiettivi qualitativi e quantitativi per fare aumentare ricavi e profitti delle società di calcio. Vuole fare entrare il sistema calcio in quello “culturale” e “turistico” del nostro paese. Infatti, Miccichè ha dichiarato: «La Spagna ha grandi campioni, Inghilterra e Germania grandi squadre, ma in Italia abbiamo qualcosa di unico, grandi squadre e grandi città come Napoli, Bari, Roma, Firenze, Bologna, Milano, Torino, Genova, Venezia, con chiese, musei e ristoranti. Gli altri campionati non possono offrirlo. Unendo questi fattori possiamo giocarcela». Un pensiero davvero “rivoluzionario” quello del neopresidente Miccichè. Lo scopo di Malagò e Cairo, invece, è quello di fare un profondo lavoro di riorganizzazione, dalla questione stadi alla competitività sui mercati globali, fino alla distribuzione dei diritti tv. I tre protagonisti, a prescindere dagli stereotipi tutti italiani della buona cucina, delle bellezze artistiche e culturali, vogliono soltanto raggiungere un unico obiettivo: trasformare le squadre in vere e proprie aziende e fare entrare sempre di più il mondo del calcio all'interno di quelle speculazioni finanziare figlie del capitalismo economico.